“Basta con le liberalizzazioni (8 dal 2010 in poi) che vanno solo a favore dei grandi gruppi imprenditoriali e a svantaggio delle Pmi. Il commercio viene continuamente sottoposto a deregulation senza alcuna valutazione di impatto sulle piccole e medie imprese, come peraltro sarebbe previsto dallo Statuto delle Imprese, legge fantasma sempre ignorata”: è decisamente contraria Confesercenti, al nuovo pacchetto che, il prossimo 20 febbraio, passerà all’esame del Consiglio dei ministri.

La “lenzuolata”, come viene ormai definito il “Disegno di legge concorrenza”, comprende la sanità, in particolare le farmacie e i farmaci, la rete carburanti, l’editoria e le edicole, le assicurazioni auto, alcuni servizi di telefonia, energia, taxi ecc.

Anche se tutto è ancora da confermare e se è prevedibile un fitto scontro, con relative raffiche di emendamenti, cerchiamo di capire più in dettaglio gli elementi che toccheranno più da vicino il commercio.

Farmacie
: a quanto pare potrebbero addirittura raddoppiare di numero, mentre i medicinali di fascia C con ricetta non saranno più un’esclusiva del farmacista.

Qui i contrari sono davvero molti, a partire dal Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che si è schierata contro la collega Federica Guidi (Sviluppo Economico). Secondo Lorenzin, infatti, “le medicine con ricetta non possono stare al supermercato, accanto a un pacco di cereali”.

Annarosa Racca, presidente di Federfarma, l’associazione dei titolari di farmacie, va oltre: “Pur di garantire ai supermercati un incremento di fatturato si finirebbe per privare i cittadini di un servizio sanitario efficiente e capillare sul territorio – dichiara -. Le multinazionali della Gdo che, nei loro Paesi di origine, non sono riuscite a ottenere la possibilità di vendere nei loro ipermercati anche i farmaci, stanno cercando di ampliare il proprio business in Italia. Il risultato sarebbe un impoverimento e la conseguente chiusura di molte piccole farmacie, proprio quelle che assicurano il servizio nelle aree più disagiate, mentre i guadagni conseguiti dalle multinazionali si trasferirebbero all’estero, alle case madri.

“Dare ai supermercati – prosegue Racca - anche la possibilità di vendere farmaci con ricetta medica significa trasformare questo tipo di medicinali, destinati alla cura di patologie importanti, in un bene di consumo e significa aumentare drasticamente il rischio di abuso”.

Al fronte del no si associa Federanziani, che teme che i giochi di marketing sui nuovi prodotti deregolamentati possano in realtà portare a distorsioni tali da minacciare i soggetti più deboli, incentivando un consumo eccessivo e poco ponderato.

Favorevoli, invece, molte associazioni di consumatori. Citiamo per tutte Federconsumatori, secondo la quale parliamo “di circa 4.000 farmaci, che includono molti tra quelli maggiormente acquistati, come alcuni noti antinfiammatori, ansiolitici e anticoncezionali. L’Onf – Osservatorio nazionale Federconsumatori, che da anni sostiene la necessità di ampliare la vendita dei farmaci di fascia C anche attraverso il canale delle parafarmacie, ha calcolato che, in tal modo, si otterrebbero risparmi di circa 42 euro annui a famiglia. Nelle parafarmacie e nei corner all'interno dei supermercati, inoltre, vi sono dei professionisti in grado di consigliare e informare i cittadini sull'utilizzo dei farmaci acquistati”. Dunque i rischi di un’” abbuffata” di medicine non sussisterebbero affatto (del resto con una recessione in atto è alquanto improbabile).

Tacciono, almeno per il momento e a quanto ci risulta, altre associazioni di categoria, anche direttamente coinvolte, come Federdistribuzione, che rappresenta la Dmo.

Editoria. Si prevede, scrive, ‘Help Consumatori’, l’agenzia delle associazioni, “sia l’abolizione del prezzo imposto dall’editore, con possibili rincari, soprattutto sui libri di testo scolastici, sia l’eliminazione del tetto massimo del 15% di sconto applicabile sulla vendita di libri (fissato dalla “Legge Levi” nel 2011, ndr). Inoltre, ci sarebbe allo studio anche l’abrogazione delle autorizzazioni comunali per l’apertura di nuovi punti vendita di quotidiani e periodici”.

Sono misure, che, secondo Confesercenti “arrivano in un momento di grave crisi per l’editoria e per l’informazione. Crisi che non è certo colpa di edicolanti e librai: fra il 2013 ed il 2014 la platea di lettori di libri si è ristretta di 2 milioni di unità, il calo più accentuato degli ultimi 15 anni, che ha portato alla scomparsa di oltre 100 librerie nel solo 2014. E nello stesso periodo le copie di quotidiani vendute ogni giorno sono diminuite di 300.000 unità. Anche in questo caso a farne le spese, in primo luogo, sono stati gli edicolanti: le imprese di rivendita giornali e periodici, nel 2014, hanno chiuso al ritmo di 4 al giorno”.

Carburanti. Dovrebbero essere aboliti i vincoli residui per le nuove aperture di stazioni di servizio e sviluppata la cosiddetta parte “non oil”, ovvero quella che comprende generi vari: carta stampata, accessori auto, ma anche gadget, alcuni generi alimentari… E’ sempre Confesercenti a dimostrare le maggiori perplessità: “L’intervento per favorire l’apertura di nuovi impianti appare molto contraddittorio: è tutt’ora aperto un tavolo ministeriale per razionalizzare la rete, che è la più polverizzata d’Europa”.