L’Italia riprende il ritmo? Almeno in parte. Secondo l’Istat i cittadini e le aziende sembrano più sereni e il clima di fiducia dei consumatori sale da un indice composito del 104,4 a 110,9, cioè il dato più alto a partire da giugno 2002. Per le imprese la rilevazione di febbraio si attesta a 94,9: era 91,6 a gennaio.

Nella popolazione prevale la stima favorevole delle componente economica, che passa a 130,9 da 111,1, rispetto a quella personale, che avanza da 102,2 a 103,7. Si registra un aumento più significativo della percezione futura (a 116,6 da 107,4), rispetto a quella presente (a 106,7 da 102,5).

“Riguardo alle imprese – scrive l’istituto - migliora il clima dei servizi di mercato (a 100,4 da 94,9), del commercio al dettaglio (a 105,3 da 99,4) e della manifattura (a 99,1 da 97,6), mentre scende quello delle costruzioni (a 76,6 da 77,4)”. Nel manifatturiero migliorano sia i giudizi sugli ordini (a -20 da -23), sia le attese di produzione (a 5 da 3). Il saldo dei pareri sulle scorte di magazzino passa da 1 a due.

Al miglioramento del “sentiment” si affianca il trend della produzione industriale. “Nella manifattura i ritmi si sono confermati positivi in dicembre, influenzati dal progresso dei beni di investimento e dei durevoli. Il recupero produttivo, osservato nei mesi finali del 2014, è legato a un aumento della quota dei settori in espansione che, a dicembre, si è portata sensibilmente al disopra della soglia del 50%, per la prima volta da agosto 2013”.

Tengono anche le esportazioni, in particolare verso l’area Ue (+3,7%), mentre flette l’import (-1,6). “In sintesi – si legge nella nota mensile sull’economia italiana -  si è consolidato il surplus della bilancia dei beni (pari a oltre 42,8 miliardi di euro), favorito in larga misura dalla riduzione del passivo della bilancia energetica (petrolio e gas naturale), per oltre 11 miliardi rispetto al 2013”.

Il Pil chiude il quarto trimestre con un -0,4 per cento. Tuttavia “nei mesi a cavallo tra la fine del 2014 e l’avvio dell’anno in corso, le indicazioni fornite dai più recenti indicatori congiunturali, pur contrastanti ed eterogenee tra i comparti, avvalorano lo scenario di un ritorno alla crescita. Il modello di previsione di breve periodo dell’Istat segnala un'avanzata nel primo trimestre del 2015. La variazione congiunturale reale del Pil prevista per gennaio-marzo è pari a +0,1 per cento”.

Note dolenti dall’occupazione: “Il mercato del lavoro non mostra chiari segnali di un’inversione di tendenza, rispetto a quanto osservato negli scorsi mesi. Il tasso dei posti vacanti nei settori dell’industria e dei servizi è rimasto ancora stabile nel quarto trimestre, attorno allo 0,5 per cento”. La stazionarietà dell’indicatore perdura dall’ultimo trimestre del 2013. Tuttavia gennaio ha archiviato un miglioramento generale: +0,1% e una risalita del tasso di occupazione al 55,8 per cento.

Consumi. Il 2014 si è chiuso ancora con un dato negativo e le vendite hanno fatto segnare una perdita dell’1,2% (-1,1 per l’alimentare e - 1,2 per il non food). I prezzi restano, dal canto loro, in deflazione, anche se si nota un rallentamento della caduta: -0,6% su base annua in gennaio e una stima pari a -0,2 in febbraio.

Segnali positivi, sempre a gennaio, dalle grandi marche, che hanno registrato una crescita del sell out dell’1,2% a valore e del 1,3 a volume, come evidenziano le elaborazioni di Centromarca su dati Nielsen.

In sostanza il quadro presenta molte schiarite, ma ancora indiscutibili e vivi elementi di preoccupazione. La maggiore incognita, oltre al lavoro che langue, è sicuramente la cosiddetta “Clausola di salvaguardia”, ossia il progressivo aumento dell’Iva (dal 10 al 13% e dal 22 al 25,5%) previsto dalla Legge di Stabilità nel caso di un mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio.

Secondo uno studio Confcommercio-Cer su pressione fiscale e spesa pubblica, se dovesse scattare questo dispositivo ci sarebbero 72 miliardi di tasse in più nel triennio 2016-2018. Le elaborazioni di Ref Ricerche per Centromarca dimostrano che, nell’ipotesi di un intervento nella sua dimensione massima, l’impatto determinerebbe un incremento aggiuntivo dei prezzi al consumo superiore al 2%, una riduzione dei consumi delle famiglie dell’1,8 e una contrazione addizionale del Pil pari allo 0,8 per cento.

Come dare vigore alla domanda e non pregiudicare la ripresa? Citiamo solo il punto di vista di Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, che chiede al Governo di individuare al più presto gli interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica, dai quali ottenere le risorse necessarie per sterilizzare gli incrementi Iva pianificati. “Le imprese – spiega - hanno bisogno di indicazioni chiare sulle linee d’intervento che saranno adottate dall’Esecutivo. Se mancano, diventa arduo sviluppare piani strategici, anche di breve periodo. Il rischio è la paralisi degli investimenti, con forte pregiudizio per l’economia, la competitività delle imprese e l’occupazione”.