Veni, vidi, Végé: così DM è andata a dare un’occhiata e, con Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di Gruppo VéGé, nonché presidente di Adm (Associazione distribuzione moderna), ha fatto il punto della situazione e aperto una finestra sui programmi futuri.
Il colosso della DO, ormai vicino ai 60 anni - è nato come unione volontaria il 15 marzo 1959 - riunisce oggi 30 imprese mandanti per oltre 2.900 punti di vendita (supermercati, ipermercati, superette, discount, specializzati e cash & carry) dislocati in modo capillare su tutto il territorio e si configura come uno dei più importanti network di vendita del Paese.

Dove siamo lo dice già il nuovo motto, che condensa il percorso che ci ha portato da una fase progettuale al compimento della trasformazione da Interdis in VéGé. ‘Compimento’ non è rallentamento o, peggio, fermata. Oggi il gruppo è una piattaforma salda, sulla quale costruire. Al nostro interno coesistono imprenditori molto diversi per insegne e formati. Inoltre tutti possono chiedere di entrare e, quando i mandanti desiderano indossare un ‘cappello’ nazionale, lo trovano in Sidis e Dimeglio, per i super, e in Pantamarket, per i cash & carry. Il sistema è rafforzato dalla Marca del Distributore VéGé, che può affiancare il marchio proprio di quei soci che ne hanno già uno. Non solo: il ‘baffo’ VéGé diventa un elemento di ‘endorsement’ per gli associati con una propria insegna, insegna che resta l’elemento centrale, ma sotto un segno comune, che rimanda a obiettivi condivisi.

DO è meglio di GD?

Anche se la mia è un’opinione di parte, devo dire, se non altro come presidente Adm, che la libertà, flessibilità, capillarità e molteplicità di format e assortimenti che caratterizza il dettaglio organizzato gli ha permesso, fatte le debite eccezioni, di accelerare rispetto alla grande distribuzione. Modernizzare il retail è, nel nostro caso, un’operazione delicatissima, che deve salvaguardare le identità e il patrimonio accumulato in termini di conoscenza diretta del cliente finale. Piccolo è bello? Non direi: è bello solo quando si ha un referente con le spalle forti. Altrimenti non si potrebbe contrastare il processo di concentrazione in atto fra le catene europee e mondiali.

Discount è meglio di supermercato?

Il discount, che da noi si chiama Sosty, è un capitolo a parte. Certo chi vuole fare il discounter lo può fare anche in VéGé, dove c’è la massima libertà. Ma, come amministratore delegato, mi permetto di rilevare la fragilità di questo concept. Da un lato i veri re dello sconto sono oggi i retailer online e, dall’altro, il discount stesso si sta, per usare un bruttissimo neologismo, ‘supermercatizzando’, mentre il super, a propria volta, garantisce ancora e sempre una buona offerta di primi prezzi e promozioni. È molto problematico tracciare un confine tra un soft discount e un super. E dico soft, perché l’hard da noi ha avuto vita breve. Il processo di graduale dismissione di questo format, anche se con con ritmi variabili da Paese a Paese, si sta compiendo anche nelle altre grandi economie europee.

Allora il nemico è sul Web?

Quando il vero concorrente è l’online bisogna essere capaci di distinguersi con prodotti tipici e attraenti e con tutto quello che asseconda i moderni stili alimentari, ossia ‘free from’, vegan, vegetarian, dop-docg-igp, rich-in, superfood, biologico, etnico, km zero, eu-organic, macelleria, salumeria, ittico, ortofrutta, per arrivare all’ibridazione fra vendita al dettaglio e ristorazione. Certo nessun prodotto è inattaccabile ma, almeno quando si parla di freschi e freschissimi, l’italiano medio non crede ancora nel commercio elettronico, se non ne ha davvero bisogno.
Però non fraintendiamo. Sono ben lontano da una visione manichea, che comporti una scelta di campo tra fisico e digitale, visto che persino i pure player, in via del tutto sperimentale, aprono show room e negozi da toccare con mano. E l’ultima acquisizione di Amazon con Whole Foods testimonia in pieno la necessità di un fisico ad “pure e-tailer”. Dunque noi non possiamo e non dobbiamo rinunciare alle opportunità offerte dalla tecnologia. Chi, come VéGé, lavora sui prodotti alimentari e la cura della persona, crea, se è saggio, estensioni informatiche che tengono la porta aperta al commercio elettronico, ma soprattutto rafforzano il dialogo con il cliente tramite i social.

Qual è la vostra strategia su Internet?

Siamo presenti soprattutto su Twitter e Instagram, dove ci piazziamo secondi in Italia dopo un finto discount. Su Facebook dobbiamo muoverci con cautela, visto che i nostri associati hanno già pagine proprie, che non possiamo cannibalizzare.
La digitalizzazione comunque, per noi, parte dal punto vendita dove i beacon permettono di instaurare un dialogo tra lo smartphone e il prodotto/servizio e dove il cellulare si trasforma nello snodo di contenuti come promozioni ed eventi, per allacciarsi poi alla centrale.
Del resto accettiamo anche la sfida dell’e-commerce purché non sia centralizzato. Alcuni associati sono attivi con successo sulla Rete. In Sicilia e Sardegna, per esempio, vendiamo i prodotti tipici tramite una piattaforma proprietaria. Ma attenzione: la vendita online, anche se intesa come clicca e ritira, non deve fare aggio sul rapporto tra il consumatore e gli addetti al punto vendita. Bisogna trovare il giusto equilibrio, caso per caso.

Parliamo di non alimentare…

Non food per noi vuol dire drug, dunque prima di tutto cura persona e, poi cura casa, non certo tessile, o piccoli elettrodomestici, merceologie che non credo siano più recuperabili con alta redditività nell’assortimento di qualsiasi distributore di massa.
Nel drug abbiamo una solida terza posizione in Italia, attraverso nomi come Gargiulo & Maiello, Bava, Detercart Lombardo, Caputo Saverio, Comipro ed Inprof. La cura della persona richiede un rapporto diretto e solidale tra consumatore ed esercente, cosa che à nelle nostre corde. Il detersivo, tanto per citare a caso, è, a mio giudizio, molto più adatto, in visione prospettica, alla vendita online.

Aperto la domenica e la notte. Cosa ne pensa?

Si deve essere liberisti con intelligenza e ogni decisione deve partire dall’analisi del proprio bacino di utenza. Se può esserci una logica nell’apertura senza limiti in un’area centrale o semicentrale, o in una località turistica, questa scelta diventa paradossale in altre situazioni. Detto altrimenti, solo il singolo imprenditore o, addirittura, il singolo responsabile di punto vendita può farsi il proprio calendario. Su tutto, naturalmente, dovrebbero vigilare le autorità, ma a patto che ci sia un solo organismo istituzionale come referente. Il conflitto tra enti locali e Stato, con il corollario dei ricorsi alla Corte Costituzionale, non dovrebbe esistere, almeno nel migliore dei mondi possibili. Ribadisco, in ogni caso, che l’individuo-imprenditore deve avere autonomia di giudizio, soprattutto quando ci si misura con rivali come Amazon, che garantisco un’attività senza pause.