Meggle è riuscita a crescere in Italia investendo parecchio su questa filiale, che al momento conta 15 dipendenti impiegati nei reparti di amministrazione, logistica, marketing e ufficio vendite. L'offerta dei prodotti è sensibilmente aumentata anche grazie all'acquisizione di SalzburgMilch, azienda austriaca affiliata alla multinazionale. L’amministratore delegato Roberto Bechis ci racconta progetti e strategie per il futuro.


Cosa significa dire Meggle Italia oggi?
Il Gruppo Meggle è presente con una propria filiale in Italia dal 2004. La sede è a Verona, conta 15 persone e opera prevalentemente a livello commerciale. Siamo partiti con circa 3 milioni di euro di giro d’affari, ereditato dal lavoro effettuato da agenti che operavano sul mercato italiano, e abbiamo chiuso il 2015 con 20 milioni di fatturato. Il 2015, in particolare, si è caratterizzato per uno spostamento dell’asset verso una maggiore attenzione alla marginalità. Il fatturato, infatti, è leggermente calato proprio in virtù della scelta di ottimizzare la redditività. Abbiamo rinunciato a qualche cliente e a qualche prodotto, ad esempio nel mercato del latte UHT. In più abbiamo preferito ridurre i nostri volumi di vendita e il fatturato su clienti e prodotti poco redditizi.

Qual è il vostro prodotto di punta al momento?
Meggle è conosciuto nel mondo prevalentemente per il burro, per cui il nostro mercato di riferimento è quello. In Italia però abbiamo puntato su un’ampia gamma di prodotti, in modo da coprire le varie necessità dei nostri clienti sia di brand che di private label.

La produzione a marchio del distributore riguarda solo il burro o anche altri prodotti lattiero-caseari?
Copriamo ampiamente tutto il comparto. Oltre al burro, molto importanti per noi sono la panne, lo yogurt, il latte... tutte le categorie delle panne vegetali. Nella gamma dei formaggi offriamo, tramite l’accordo con la cooperativa austriaca SalzburgMilch che fa parte del Gruppo, un ampio assortimento, che comprende anche il biologico e che sarà uno dei temi di sviluppo dei prossimi anni.

Avere il burro come prodotto di punta in un mercato come quello italiano non rischia di essere un po’ penalizzante?
Il burro in effetti presenta una situazione abbastanza strana in Italia. Come è noto, gli italiani tendono a preferire l’olio d’oliva quale condimento alimentare. Eppure in Germania il consumo pro capite di burro è un terzo di quello nel nostro Paese. C’è anche da dire che in Germania nel 2015 il prezzo del burro è aumentato del 4% mentre in Italia è sceso di altrettanti punti percentuali.

Come mai secondo lei?
Credo che questo risultato dipenda da un lato dalla fortissima concorrenza dell’olio, ma dall’altro dall’ignoranza riguardo alle proprietà organolettiche e salutistiche del burro. Molti alimentaristi e dietologi ne consigliano addirittura un consumo quotidiano perché è a catena corta. L’aspetto problematico è la qualità del burro che viene commercializzato in Italia. Noi italiani, come i francesi, siamo grandi produttori di formaggi, per cui normalmente il nostro burro è conseguenza della lavorazione casearia. Negli altri Paesi europei il burro viene prodotto direttamente dalla panna del latte, come nel caso di Meggle, un aspetto fondamentale che stiamo cercando di comunicare il più possibile al consumatore. A mio parere c’è ancora ampio spazio per far conoscere le proprietà e la qualità del burro: come spesso capita, si tratta di un fattore culturale.

In un mercato come quello italiano è possibile trovare il giusto equilibrio tra qualità del prodotto e prezzo e marginalità?
In generale in tutti i mercati prevale l’idea generale che se un prodotto ha un prezzo basso non lo si può identificare con un prodotto qualitativo. Noi proponiamo tutti i nostri prodotti a un prezzo medio e accessibile puntando sull’alta qualità. Direi che come prezzo siamo nella media del mercato, e come qualità siamo nella fascia alta. Chi ci assaggia tende a riconoscerci: abbiamo un altissimo livello di fidelizzazione sui nostri prodotti.

Dove sta allora il problema?
Il punto debole di tutta la filiera, non solo nostro ma di tutti i produttori di burro, è che ci sono poche risorse per fare comunicazione, specie quella televisiva. In più l’andamento della materia prima, che ha subìto un enorme abbassamento negli ultimi tempi, sicuramente non ci favorisce e questo sarà uno dei problemi anche nel 2016.

La strategia per il 2016 su che cosa punterà?
Punteremo da un lato sul brand, facendoci conoscere sempre di più, investendo quello che potremo in comunicazione e su iniziative di in store promotion che prevedano l’assaggio dei nostri prodotti. Dall’altro lato punteremo maggiormente sulle nostre specialità che vanno a coprire segmenti di prodotto tipo i “senza lattosio” o i “senza glutine” e così via. Continueremo a valorizzare il nostro essere un’azienda italiana che opera con prodotti di alta qualità. Ampliaremo a breve la gamma del “senza lattosio” con la panna montata. Altro tassello della strategia 2016 sarà quello di continuare senza esasperazione ad offrirci come collaboratori molto credibili sulle private label perché ragioniamo tra connazionali, conoscendo bene le esigenze del nostro mercato e affrontando sia le opportunità che le problematiche.