Bastonate per i market influencer, ovvero le personalità note o notissime che tramite blog, videoblog e social (Facebook, Instagram, Twitter, Youtube, Snapchat, Myspace) mostrano sostegno o approvazione per determinati marchi, generando un effetto pubblicitario, ma senza rivelare ai consumatori la finalità vera della comunicazione. La maggior parte di loro ha centinaia di migliaia di follower e, se si potesse fare qualche nome – serve farlo? -, si scoprirebbe che i seguaci si contano a volte a milioni.

Secondo l’Antitrust si tratta tout court di pubblicità occulta: “Tale fenomeno – scrive l’Agcm - sta assumendo dimensioni crescenti, grazie all’efficacia derivante dal fatto che gli influencer riescono a instaurare una relazione con i consumatori, i quali percepiscono tali comunicazioni come consiglio derivante dall’esperienza personale e non come comunicazione pubblicitaria. Spesso, le immagini con brand in evidenza, postate sul profilo personale del personaggio, si alternano ad altre, dove non compare alcun marchio, in un flusso che dà l’impressione di una narrazione privata della quotidianità.

“Le foto – prosegue la nota - talvolta, rappresentano un ambiente domestico e sono realizzate con tecniche non ricercate; altre volte, le tipologie delle illustrazioni, le pose e l’ambiente assumono però lo stile di un set fotografico. L’evidenza data ai marchi può variare in intensità e modalità, in quanto le tipologie di post e personaggi sono molto eterogenee. In alcuni casi, i nomi commerciali sono citati negli hashtag, in altri sono invece in evidenza. Il post può essere accompagnato da commenti enfatici”.

Così l’authority, con la collaborazione del Nucleo speciale antitrust della Guardia di Finanza, ha inviato lettere di ammonizione (moral suasion) ad alcuni dei principali influencer e alle società titolari dei marchi.

Nelle proprie missive, l’Autorità, ha evidenziato come il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social, non potendo i personaggi fare credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno facendo promozione.

L’Autorità ha anche steso un vero codice di comportamento che chiede di rendere facilmente riconoscibile la finalità promozionale, con l’inserimento di avvertenze come #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene, anche a titolo gratuito, #prodottofornitoda.