L’ultimo, illustre esempio è quello di Sami Kahale, proveniente da Procter & Gamble e salito alla carica di amministratore delegato di Esselunga. Ma si potrebbe citare anche il caso di Francesco Pugliese, ad di Conad con lunga esperienza in Barilla. E la lista potrebbe continuare a lungo. Non è infrequente il passaggio di manager dell’industria a imprese del retail, molto più di quanto non avvenga il contrario. Ne abbiamo parlato con Giovanni Sardone, Direttore Commerciale in Distribuzione Sisa Centro Sud. Ecco il suo punto di vista.

Perché secondo lei diversi manager della distribuzione provengono dall’industria?


Onestamente non mi risulta siano tantissimi, purtroppo per la distribuzione. Ma, aldilà del numero, la scelta in questa direzione diventa quasi obbligata per quei manager che vogliono completare un percorso a 360 gradi. Mi spiego meglio. Un manager vive di stimoli ed obiettivi, che come spesso accade nella vita, un po’ per tutti, prima o poi arrivano ad affievolirsi. Ed è li in questo caso che si accende la lampadina e ti viene voglia di rimetterti in gioco quasi ricominciando da capo. Ovviamente capitalizzando in esperienza d’industria che non è di certo poco cosa.

E’ così frequente anche il contrario?


Sì, più o meno. Ma a mio avviso - nessuno me ne voglia e nulla di personale - la formazione nell’industria è tutta un’altra storia, soprattutto per la possibilità che ti dà nei vari ruoli, di conoscere il mercato nelle varie aree geografiche e nei vari canali, coniugando le esigenze e i trend nazionali.

Qual è il valore aggiunto che un manager formatosi nell’industria di marca può offrire a un gruppo distributivo?


Le imprese produttrici in generale, e quelle di marca in particolare, piccole o grandi che siano, sono vere e proprie accademie, mi si passi il concetto: quasi dei corpi speciali integralisti dove lavori per obiettivi, per budget fatti anni prima e di conseguenza studi e previeni il mercato, lavori con un organizzazione unica, monitorizzi step by step gli andamenti tuoi e dei concorrenti, lavori sull’ innovazione e se dovessi privilegiare un termine su tutti sceglierei l’organizzazione. Un altro aspetto fondamentale è che l’Industria non può (anche se capita) permettersi il lusso di sbagliare. Se succede ci si fa molto male. Nella Distribuzione, laddove capita, questo aspetto sembra quasi sempre causato dagli altri, dal mercato, dai concorrenti. Il più delle volte non è così. I primi errori si fanno in casa e non si ha l’umiltà di ammetterlo.

Il suo percorso professionale ha seguito questa direzione: ce lo vuole raccontare?


Personalmente, come si dice in gergo, ho una “laurea da marciapiede”. Ho iniziato la mia esperienza professionale in tentata vendita. Una scuola ancora oggi, in cui l’era tecnologica ci ha divorato, inequiparabile, dove i valori e i rapporti umani hanno grande importanza. Per fare un paragone, dico che una delle differenze nei miei supermercati oggi la fa la formazione del personale, che deve coccolare e assistere il cliente e questo fa parte della mia esperienza passata. Il nostro mondo invece si scatena perché ha il prezzo più basso, più folle, credendo che questo sia l’elemento di fondo per risolvere tutti i problemi. In realtà li aumenta. Non ha ancora compreso che il consumatore è cresciuto e quando esce da un qualsiasi punto vendita il prezzo lo ha dimenticato, la cortesia, insieme ad altri plus come la qualità l’innovazione i servizi no. Nei vari ruoli e nelle esperienze avute nel mondo dell’industria ho inoltre imparato che l’essere umano deve essere sempre al primo posto, in alcuni casi anche a discapito degli obbiettivi prefissati.

Cosa ritiene di avere portato, in “dote”, dalle sue precedenti esperienze industriali?


Una parola su tutte: metodo. Mia madre, quando ero scoraggiato, mi sosteneva dicendomi: “non esistono cose difficili irrisolvibili, in quanto una cosa difficile è fatta da tante cose facili ... risolvile una ad una e avrai risolto il problema“. Grazie a questo insegnamento anche le cose impossibili e irraggiungibili ho imparato ad affrontarle e a risolverle. Il metodo che in questo caso l’industria ti dà e in certi casi ti impone è un altro esempio di valore aggiunto in più che a mio avviso in distribuzione non ha ancora il giusto peso. Altro aspetto vitale è il tempo. Nell’industria i tempi sono velocissimi. Nella Distribuzione non sempre accade questo ...i tempi in alcuni casi sono biblici. Fino a qualche anno fa si parlava di commissioni anche per decidere le cose più futili, cose che, una volta decise, non avevano più motivo di esistere. La distribuzione ne gioverebbe se fosse più reattiva a certi processi…

Che cosa ha trovato di maggior valore, rispetto all’industria, nell’esperienza fatta in imprese della distribuzione?


Sicuramente questa partita viene vinta dalla Distribuzione a tavolino per due a zero. La fantasia e la possibilità, se hai estro, di fare tanto e divertirti, cosa che nell’industria non sempre si riesce a fare o si fa con grossi limiti. In Distribuzione se trovi gli imprenditori giusti - e io ho avuto la fortuna di trovarli - puoi condividere e realizzare sogni che, capitalizzando le tue esperienze manageriali precedenti nell’industria, ti fanno vivere emozioni uniche. Nei miei uffici dietro la mia scrivania c’è sempre stato, ovunque sia andato, un piccolo quadretto con la seguente frase: ”Chi non diventa pazzo non è normale”. Io, grazie a queste bellissime e uniche esperienze credo, di essere oggi diventato normale.