Assocamerestero prende le misure dell’italian sounding alimentare attraverso i risultati di un’indagine ad hoc, con un focus particolare su Europa e Nord America: l’impatto economico è di 90 miliardi di euro, cioè quasi il triplo del valore del nostro export di cibi e bevande.

Lo studio è inserito nell’ambito del Progetto ‘True Italian Taste’, sponsorizzato e finanziato dal Mise per la Campagna di promozione del cibo 100% Made in Italy, e realizzato dalla stessa Assocamerestero in collaborazione con 21 Ccie.

A livello globale il fenomeno delle imitazioni è cresciuto, negli ultimi 10 anni, addirittura del 70%, e questo anche sulla scorta dei grandi successi ottenuti dai nostri prodotti oltre frontiera.

La categoria più colpita è quella dei confezionati: il 42% dei fake è costituito da piatti pronti e surgelati, conserve e condimenti. Seguono i latticini (25,1%), la pasta (16,1%), il base carne (13,2%) e i prodotti da forno (3,6%).

I risultati cambiano se si analizzano separatamente i due grandi bacini geografici: in Europa si registra, per il confezionato, un livello di diffusione superiore alla media generale, mentre nell’area Nafta salgono al primo posto i lattiero caseari.

Tra gli oltre 800 prodotti sounding mappati figura la “pizza carbonara” o la “mortadela Siciliana” (con una “l” sola) rilevati in Spagna, mentre in Nord America sono frequenti le storpiature come “sarvecchio” al posto di “stravecchio” o la “sopressata”, che perde una “p”. In Francia e Olanda circola, poi, uno speciale Limoncello, presentato come un liquore da aperitivo.

Per valutare gli impatti è stato elaborato un indice dei costi, che misura quanto i prezzi delle imitazioni si stacchino dai corrispondenti autentici. Nonostante i valori cambino in base allo Stato considerato e alla categoria, risulta evidente che l’abbattimento più forte si registra nel Regno Unito (-69%), quasi alla pari con la Germania (-68,5%). Seguono, con risultati pressoché analoghi, Belgio (-64,9%) e Olanda (-64,3%). Una forbice più contenuta riguarda la Svizzera (-33,9%) e il Lussemburgo (-25%).

In alcune aree, però, sono state registrate vere controtendenze, con alcune tipologie di fake che possono arrivare a costare fino a due terzi in più degli originali. I latticini e caseari d’imitazione italiana sono venduti, in Francia e Svizzera, rispettivamente al 13,9% e al 34,5% in più rispetto all’originale.

Relativamente ai confezionati è il Lussemburgo che registra valori anomali, con un aumento di prezzo del 18,3% rispetto al vero italiano. Il ribasso più forte, invece, si nota in Spagna e Olanda.

La Germania ha il primato per l’abbattimento dei costi della pasta (- 47,9%), e in disallineamento troviamo, ancora, la Svizzera e la Francia, che gonfiano i prezzi del 33% e del 16,6% rispettivamente. In Spagna, sui prodotti da forno sounding, si paga fino al 10,7% in più, mentre in Francia lo ‘sconto’ supera i 47 punti.

“L’analisi condotta dalle Camere italiane all’estero mostra, in sostanza, un dato interessante: in alcune realtà e per alcuni prodotti, la scelta dell’italian sounding rispetto all’originale italiano non è legata a questioni di costo, ma a due fattori, la difficoltà di reperimento del prodotto autentico e la scarsa conoscenza, da parte del consumatore, delle caratteristiche e della qualità del vero made in Italy – sottolinea Gian Domenico Auricchio, presidente di Assocamerestero –. Con il Progetto True Italian Taste stiamo lavorando proprio per far sì che la scelta del vero italiano passi attraverso la prova della sua eccellenza, coinvolgendo, in oltre 200 iniziative, più di mezzo milione di operatori del food e di food lover. È grazie alla diffusione della cultura e dell’educazione al consumo dei prodotti 100% italiani, e lavorando sulle alleanze che le Ccie stabiliscono con le comunità d’affari locali, che sarà possibile arginare il fenomeno dell’italian sounding e recuperare le quote di mercato erose al nostro agroalimentare”.

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