Le giornate dell'8 e del 9 novembre hanno avuto come cornice storica le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America con la prospettiva di un possibile disimpegno degli USA dagli accordi di Parigi, oggi formalmente operativi, e nell'agenda di COP 22 in corso a Marrakech per la loro implementazione.

Le giornate sono state aperte dalla relazione del presidente del Consiglio Nazionale della Green Economy, di cui Plef è membro permanente, Edo Ronchi, che contestualmente ha presentato due ricerche sullo stato della Green Economy italiana rispetto all'Europa e al Mondo. Le evidenze portate dal confronto coi principali paesi Europei ci pongono nel medagliere al primo posto davanti a Germania, Regno Unito, Francia e Spagna a pari merito. Siamo primi nelle energie rinnovabili (peso sul totale consumi), primi nel riciclo di rifiuti speciali, primi nella produzione agricola di denominazione, primi nel livello di emissione dei trasporti. Ma siamo anche molto performanti. Risultiamo infatti secondi per intensità energetica, intensità materiali e agricoltura biologica, terzi nelle emissioni di gas serra, nel riciclo dei rifiuti urbani, nell'ecoinnovazione, nelle aree protette e nella mobilità merci; e infine quarti nel consumo del suolo. Mai quinti.

Tendenzialmente si può dire che i processi produttivi e di consumo sono più virtuosi, mentre più problematici risultano quelli di regolamenti collettivi. Ma la sintesi è che il sistema “green “ in Italia è leader. Lo è nei fatti ma non nell'immagine in quanto da un altra ricerca emerge che l'opinione internazionale ci attribuisce una reputazione più bassa che alla Germania, al Regno Unito e alla Francia.

Ci si può chiedere se sia meglio creare aspettative alte e poi non esserne all'altezza o è meglio nei fatti superare le aspettative? Certo che un ranking reputativo in linea con quello fattuale sarebbe corretto e per riuscirci l'Italia deve sconfiggere i casi scandalosi che diventano stereotopi del paese. Al contrario deve enfatizzare quanto di significativo e non episodico sa realizzare. Il Lavoro del Consiglio Nazionale della Green Economy va in questa direzione e anche le proposte che in questa assise sono state portate lo dimostrano.

La più importante è per l'attuazione dell'accordo di Parigi sul clima: dotare il Cipe di un Fondo COP 21 alimentato dalla riallocazione dei sussidi dannosi per l'ambiente (stimati tra 5 e 20 miliardi di euro l'anno) per favorire interventi in settori come l'edilizia con la deep renovation legata alla sicurezza antisismica e all'efficientamento energetico e con risvolti ambientali sociali ed occupazionali fortissimi.

Altre proposte riguardano lo sviluppo della strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, la fiscalità ecologica e i green bond, l'adozione estensiva della rendicontazione non finanziaria delle imprese, il potenziamento degli strumenti di supporto alle start up green, l'adozione rapida dei provvedimenti europei per la circolarità dei prodotti a fine vita, l'adozione di un marchio sulla filiera agroalimentare di made green in Italy, la promozione del green procurement, la riforma dei servizi idrici, fino alla proposta di non immatricolare più dal 2030 auto con carburanti di origine fossile.

Il dibattito sulle proposte di policy si è svolto nelle sessioni tematiche che sono state precedute da un intervento del ministro Galletti il quale, rivendicando la sua terza partecipazione agli Stati Generali come elemento di positiva continuità, ha autocelebrato il lavoro fatto con l'introduzione del reato ambientale, con la pubblicazione per la prima volta del collegato ambientale annesso alla legge di stabilità ed infine con la recente ratifica in tempi brevissimi dell'accordo di Parigi che consente all'Italia di far parte a Marrakech del gruppo di paesi che dibatterà l'attuzione operativa degli impegni assunti per la riduzione delle emissioni, a riguardo della quale ha dichiarato una posizione intransigente in Europa posto che l'obiettivo di riduzione di gas serra preso a livello comunitario non penalizzi nella ripartizione tra stati chi come noi è più avanti della media ma allinei tutti allo sforzo comune.

Sempre con riferimento alle differenze europee il Ministro ha poi escluso di voler operare per una revisione fiscale in chiave ecologica, contrastando così da subito una delle principali proposte del Consiglio Nazionale della Green Economy e non chiarendo se si riferiva all'opposizione totale delle proposte o a quella relativa alla riallocazione dei sussidi dannosi o ancora all'introduzione della Carbon Tax rendendo così evidente che il dibattito sul fronte delle risorse finanziarie dovrà essere perseguito con tenacia da subito in Italia e in Europa, a maggior ragione con il nuovo dirompente negazionismo climatico che gli Stati Uniti probabilmente useranno.

A far emergere le contraddizioni che stiamo vivendo ci ha pensato la sessione del secondo giorno di lavori dedicata alle città come driver della green economy. La contraddizione sta nel fatto che mentre sociologi ed urbanisti profetizzano le megalopoli come leader della nostra società contemporanea e del futuro prossimo, l'evidenza delle espressioni democratiche viste in Gran Bretagna per il referendum e negli Usa per le presidenziali dimostra che sono le provincie quelle vincenti nei suffragi.

In altri termini, le possibili élite metropolitane diventano antagoniste per la maggioranza delle popolazioni e quindi tutte le idee di smartness (interessante scoprire che L'Onu lanciò il concetto di Smart City, ovvero città connesse ed intelligenti nel 1955) sembrano fatte apposta per far imbestialire il resto degli abitanti di un paese sia che si tratti di iniziative ad impatto sociale che ambientale. In sintesi, il territorio non è solo la città, il territorio è più importante della città. Questo l'Italia lo capisce bene perché è nel suo dna. Sentire parlare due donne assessori, una all'urbanistica di Firenze e l'altra di Pechino, significa sentire non due città a confronto ma una città a misura d'uomo a confronto con una a misura conglomerata e non ci vuole molto a capire dove potrà esserci durabilità. Le innovazioni illustrate, soprattutto sul fronte della mobilità con la conversione da trasporto convenzionale ad elettrico e l'uso estensivo ed intensivo delle connessioni di big data e di internet tra le cose, hanno fatto immaginare a breve termine una rivoluzione dei protagonisti economici, nelle infrastrutture, nell'utenza, nel ruolo generazionale e soprattutto del sistema sociale occupazionale fantascientifico ma assolutamente già codificato. E qui si misurerà la capacità sistemica della comunità terrestre per evitare danni giganteschi di conflitto tra tecnica e società.

L'Italia nell'Europa ancora una volta può essere di orientamento: ha i mezzi tecnici, ha eccellenze, ha dimensioni contenute, ha produzioni differenziate, ha soprattutto una cultura del territorio e delle persone che deve servire non da difesa autarchica verso il cambiamento ma come modellizzazione progressiva e razionale del cambiamento.Questo ci riporta al ruolo centrale della politica nazionale e locale e della sua efficacia all'interno come all'esterno e quindi a rimandare una valutazione a dopo il referendum confermativo sui cambiamenti alla nostra costituzione che proprio con queste aspirazioni e paure si confronta.

Emanuele Plata

Presidente Plef