Parmigiano, Crudo di Parma e San Daniele, mozzarella, dolci da ricorrenza famosi in tutto il mondo senza dimenticare l’amato piatto di spaghetti al pomodoro. Tutti simboli famosi della nostra tradizione alimentare, tanto famosi che sono entrati di diritto nel cinema, nelle esperienze di viaggio, nell’immaginario collettivo. Gioielli che non vanno però considerati nicchie d’eccellenza ma parte integrante di un sistema che da solo ha portato a casa nel 2011 127 miliardi di euro di fatturato, dei quali ben 23 dovuti all’export. In questo contesto risulta determinante tutto ciò che può fare da tramite attivo fra un mercato potenzialmente immenso e una produzione cui non manca la qualità ma nemmeno mancano i problemi, dagli inceppi di filiera all’annoso problema dei prezzi cui si potrebbero aggiungere ulteriori aumenti dell’Iva e, speriamo di no, la Food Tax. Uno di questi tramiti è senz’altro una fiera come Cibus, diventata ormai il principale punto di riferimento per l’immagine del nostro agroalimentare in Italia e all’estero, un potente sostegno al made in Italy e un’occasione per proficui scambi commerciali. Abbiamo cercato di capire cosa ci aspetta nel prossimo futuro insieme ad alcune importanti associazioni e aziende del settore.

Francesca Tozzi

Non solo nicchie

Arturo Semerari

L’industria agroalimentare italiana si è confermata nel 2011 secondo settore manifatturiero del Paese dopo la meccanica. Vanta risultati complessivi di tutto rispetto pur nella pessima congiuntura economica: 127 miliardi di euro di fatturato, dei quali ben 23 dovuti all’export. Non è un caso quindi che la più importante fiera dedicata al made in Italy alimentare, il Cibus, che anche quest’anno torna a Parma il prossimo maggio, sia sempre più frequentata da “stranieri” a caccia dell’affare e orientata ai mercati esteri. «Bisogna capire che il nostro è un paese prevalentemente trasformatore cioè che importa molte materie prime agricole – spiega il presidente di Ismea Arturo Semerari – Nel macrosettore dell’agroalimentare bisogna distinguere la parte “agricoltura” e la parte “industria alimentare”: la prima è l’anello debole, caratterizzato da un forte sbilanciamento della bilancia commerciale mentre nell’industria alimentare importiamo tanto ma esportiamo altrettanto. La capacità produttiva dell’Europa in generale si è ridotta aprendo nuovi spazi all’import da Paesi terzi. In tutto questo nel 2011 l’agroalimentare italiano ha esportato per 30 miliardi e importato per 40 miliardi di euro con un saldo negativo di 10 miliardi di euro di cui 7 per l’agricoltura e 3 per l’industria alimentare. Di solito importiamo prodotti di livello piuttosto basso ma l’esportazione è di qualità: il valore aggiunto è quindi dato dalla trasformazione. A dispetto di quanti ancora pensano, il nostro agroalimentare è il fattore trainante del sistema Italia, non un insieme di nicchie da valorizzare. La sua percezione all’estero è ottima. È un errore perdere la visione d’insieme e puntare su singoli gioielli del made in Italy perché è il mangiare italiano che sostiene le esportazioni. Non a caso siamo i più contraffatti di tutto il mondo».

Trend e preoccupazioni

Ciononostante il quadro tracciato da Federalimentare non è roseo: a livello strutturale il 2011 ha visto riapparire quella flessione della produzione che si era presentata nel biennio 2008-2009. Il calo del 2011 sull’anno precedente è pari infatti all’1,7%, mentre il valore del fatturato del settore cresce solo del 2,4%, al di sotto del tasso di inflazione (+3,2%), attestandosi a 127 miliardi di euro. Le ombre che gravano sul quadro macroeconomico dell’alimentare vengono soprattutto dai consumi interni. Nel 2011 i consumi alimentari si fermano a 208 miliardi di euro (-2,0% in termini reali). Il dato diffuso dall’Istat sul commercio al dettaglio dell’anno trascorso è particolarmente allarmante: si parla di un calo di oltre 2 punti percentuali in quantità. Il -1,0% del dicembre 2011 rispetto a novembre e del -1,7% rispetto al dicembre 2010 consegna, inoltre, al 2012 una velocità di uscita che lascia presagire un anno altrettanto negativo. «Nel complesso le previsioni 2012 non promettono nulla di buono – dichiara il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua – Il calo atteso del PIL prossimo al 2% e il forte drenaggio di capacità di acquisto recato dalle recenti misure fiscali comporteranno un’ulteriore erosione delle vendite e della redditività, analoga a quella del 2011. Preoccupa soprattutto l’effetto Iva sui prezzi, sia quello già attuato che quello atteso ad ottobre, che la filiera non potrà ammortizzare. La produzione è stimata in calo del -1,2%, mentre i consumi alimentari rischiano di essere ulteriormente penalizzati del -1,6% in termini reali». A preoccupare oltre all’Iva, c’è la ventilata Food Tax su alcuni cibi ritenuti meno salutari. Secondo le stime del Centro Studi Federalimentare, colpirebbe una fetta che potrebbe arrivare fino al 14% del carrello della spesa. Inoltre, l’inevitabile rincaro dei prezzi dei prodotti soggetti a tassazione avrebbe l’effetto di rafforzare la tendenza alla flessione dei consumi alimentari domestici delle famiglie (-2% nel 2011, ma -8% se consideriamo gli ultimi 4 anni), effetto della crisi in corso. Dovendo spendere di più per prodotti comunque necessari, si spenderebbe di meno per altri, innescando la spirale dell’inflazione e rinviando la tanto attesa fase di rilancio dei consumi.

Uno sguardo all'estero

Le esportazioni agro-alimentari hanno confermato nel 2011 il trend positivo degli ultimi anni con un valore totale di 27 miliardi di euro, in crescita dell’8% rispetto all’anno precedente, secondo i dati dell’Ice (Istituto nazionale per il commercio estero). Se il quadro complessivo è positivo, l’analisi dei singoli comparti merceologici mostra delle differenze anche marcate. In genere, sono i prodotti dal maggiore peso specifico sul totale export che evidenziano i più alti tassi di crescita: i vini, dalle cui vendite deriva oltre il 16% degli introiti totali e che sono risultati il prodotto maggiormente esportato, hanno registrato un +12,4%, i prodotti dolciari un +9,3%, le conserve e i succhi vegetali +5,4%, le carni +10,4%. Fanno eccezione i prodotti ortofrutticoli che dopo un ottimo 2010, hanno subito una contrazione del 2,4%. In ripresa, dopo un 2010 deludente, la pasta (+8,2%). Crescono a due cifre il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. Seguendo i flussi in uscita monitorati dall’Ice si nota che l’Unione Europea continua a essere in modo preponderante il maggior mercato di sbocco per le aziende del settore: qui a far la parte del leone sono i nostri mercati tradizionali di riferimento, Germania, Francia e Regno Unito, con variazioni comprese tra +2,8% e +8,9%. Di rilievo le performance di Belgio, Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria e Finlandia. Si consolida la ripresa delle esportazioni verso i Paesi europei non U.E. grazie soprattutto all’incremento della domanda da Russia (+20,3%) e Norvegia (+11,1%). Positivo il dato relativo all’America Settentrionale (+9,6%) che si conferma il mercato più importante dopo quello europeo. Gli ordini provenienti dagli Stati Uniti, in particolare, sono risultati in aumento del 9,6% nonostante il deprezzamento del dollaro USA nei confronti dell’Euro. Continua la forte crescita dell’Asia Orientale con un incremento del 22,3% che consolida il +15,6% del 2010. Spiccano le performance di Cina (+37,9%) e Hong Kong (+31,1%), mentre appare in ripresa il mercato giapponese. Tra gli altri mercati asiatici ancora in forte crescita il mercato indiano (+19,6%). Il Medio Oriente si conferma una delle aree più dinamiche grazie in particolare ai dati positivi provenienti da Israele, Emirati Arabi e Kuwait.

A sostegno del made in Italy

I visitatori della sedicesima edizione di CIBUS, a Parma da lunedì 7 a giovedì 10 maggio 2012, troveranno un quartiere fieristico completamente rinnovato, con maggiori servizi e un’area espositiva di 120.000 mq alimentata da un grande impianto fotovoltaico. Cresce il numero di espositori che rappresentano le realtà più dinamiche della produzione italiana, come i prodotti biologici (“CIBUS Organic”), i prodotti freschi di quarta e quinta gamma, i piatti pronti freschi. Rilevante come sempre sarà la presenza delle tipiche produzioni italiane di carne, salumi,
prodotti lattiero-caseari e pomodoro. «Il nostro impegno è stato quello di riunire tutta la filiera – ha spiegato Elda Ghiretti, Cibus brand manager – dagli agricoltori di Confagricoltura ai Consorzi produttori di prodotti Dop e Igp, dai produttori industriali di salumi, formaggi e pomodoro a quelli del surgelato, dai produttori di specialità tipiche delle varie Regioni alla Grande Distribuzione. L’obiettivo è quello di ragionare assieme, anche grazie ad una sezione convegnistica ancor più ricca, su come affrontare uniti la difficile situazione economica e la conquista dei mercati esteri». «Il nostro sistema dell'industria alimentare è fatto da 6.500 aziende, la maggior parte piccole imprese. È un sistema ricco e variegato ma che ha difficoltà nell'affermarsi compiutamente all'estero – evidenzia Daniele Rossi, direttore generale di Fedealimentare, partner di Cibus – per questo fiere come Cibus sono fondamentali per l'internazionalizzazione». Cibus 2012 triplica le presenze dei buyer stranieri: 2.300 espositori, 60.000 visitatori professionali nella scorsa edizione. Quest’anno saranno presenti tutte le insegne leader nei Paesi emergenti, dalla cinese A-Best Supermarket al Gruppo Russo X5. Si registra anche un incremento del 30% nelle prenotazioni da parte di mercati storici di sbocco (Stati Uniti, Germania, Regno Unito). Parte del crescente interesse è dovuto anche all'alleanza con la fiera alimentare Anuga che ha condiviso con Fiere di Parma un progetto strategico di sviluppo volto a fare di Parma e Colonia gli appuntamenti di riferimento per la business community mondiale del Food. Tra gli appuntamenti di quest'anno, lo Sportello India per sviluppare le opportunità di ingresso in un mercato difficile ma estremamente promettente e il premio International Cibus Award per i retailer che meglio avranno realizzato gli assortimenti più efficaci per offrire le eccellenze del Made in Italy alimentare.

Una filiera verde e difficile

Gianni Amidei, amministratore delegato di Alegra
«La commercializzazione della produzione ortofrutticola 2011 sta terminando con risultati complessivamente non positivi per la maggior parte delle referenze – spiega Gabriele Ferri, direttore generale di Naturitalia, società commerciale del gruppo Apo Conerpo – Fanno eccezione alcuni frutti come albicocche, susine e mele, che hanno ottenuto risultati economici accettabili. Le famiglie sono sempre più propense ad ottimizzare la spesa. Dall’altro lato, purtroppo, i costi di produzione mostrano una costante tendenza all’aumento legata in particolare alla sensibile e rapida crescita dei costi energetici e alla tassazione sempre più gravosa: elementi, questi, che non favoriscono la necessaria competitività del settore ortofrutticolo italiano e inoltre ostacolano l’internazionalizzazione delle nostre imprese». «In una situazione di crisi economica come quella che stiamo vivendo il settore ortofrutticolo non può certamente andar bene in quanto non è ritenuto strategico dal punto di vista del completamento della spesa alimentare in contrasto con tutti i dettami di una sana e buona alimentazione – aggiunge Gianni Amidei, amministratore delegato Alegra, società commerciale del gruppo Apo Conerpo – Questo fenomeno, unitamente all’offerta abbondante registrata nel 2011 per le produzioni autunno-invernali, sta influenzando pesantemente il risultato economico dei produttori. Gli attuali realizzi di vendita infatti non coprono i costi di produzione anche se questo non viene percepito dal consumatore in quanto il prodotto che trova sui banchi dei supermercati spesso risente di ricarichi maggiori. I prodotti di qualità, se correttamente veicolati e supportati da incisive campagne promozionali, riescono a difendersi meglio e a conquistare più agevolmente il consumatore remunerando sufficientemente il produttore. Molto più difficile la vita per i prodotti di bassa qualità, che devono essere collocati a prezzo inferiore pur dovendo sopportare quasi gli stessi costi di lavorazione, imballaggio e trasporto».

Due grandi classici

I salumi italiani sono fra i comparti che se la cavano meglio, non solo all’estero, dove in particolare alcuni prodotti tipici IGP e DOP sono sempre più apprezzati man mano che la globalizzazione avanza sull’onda delle nuove tecnologie e aumentano così le occasioni di consumo, ma anche in Italia. «Finora l’esportazione è stata limitata perché ci sono tante barriere che associazioni e ministeri da anni tentano di abbattere, barriere di natura soprattutto sanitaria, ma si stanno aprendo nuovi mercati e le prospettive di crescita sono ottime – sottolinea Sabino Gravina direttore marketing e strategie Italia Beretta Group – Sul fronte interno il nostro mercato regge. Il consumatore italiano mangia un po’ meno ma meglio: nonostante la crisi crescono i prodotti premium e i salumi ad alto contenuto di servizio come gli affettati in busta e i quadrettati, prodotti che costano di più ma che progressivamente tendono a prendersi le quote del prodotto da taglio perché non sono più vissuti come emergenziali ma parte integrante del carrello della spesa. La salumeria è il più grande mercato italiano in ambito agroalimentare, quello a maggior fatturato per la gdo per cui non ci possiamo lamentare. Non credo che aumenteranno i consumi di salumeria delle famiglie italiane ma credo che aumenterà il valore: spenderanno di più, lo dimostra quello che è successo in questi anni». In difficoltà ma in ripresa all’estero un altro grande classico del made in Italy alimentare: la pasta, che nel 2011 ha risentito, come tutte le categorie del largo consumo, del difficile momento dell’economia con alcune ricadute sui livelli di consumo. «Il mercato della pasta di semola in Italia ha registrato un calo di circa il 2% nel 2011, con la metà della perdita annuale concentrata nel periodo Settembre-Ottobre – sottolinea l’ufficio marketing Barilla – ma al di là dei fenomeni congiunturali, l’orientamento di fondo delle persone verso la categoria è positivo e stabile, in quanto la pasta rimane l’alimento centrale del modello alimentare italiano. Infatti nei primi mesi del 2012 le dinamiche di consumo del mercato della pasta secca si sono sostanzialmente stabilizzate». In un momento di scarsa propensione alla spesa come quello attuale, il consumatore si mostra particolarmente attento al miglior rapporto qualità/prezzo, aspetto che nel corso del 2011 ha permesso a Barilla di migliorare ulteriormente la sua posizione di leadership di mercato.

Innovare nella tradizione

L’innovazione di prodotto è un elemento fondamentale per mantenere sempre attuale il legame tra il prodotto e gli italiani attraverso un’offerta sempre in grado di rispondere all’evolversi dei bisogni e dei desideri delle persone in campo alimentare. «Se è vero, infatti, che la pasta è un alimento radicato nelle abitudini di consumo e quindi oggi, come ieri, i formati di pasta preferiti sono quelli più classici, è altrettanto vero che negli ultimi anni, la richiesta di una crescente varietà si è tradotta in un interesse verso nuove tipologie in grado di soddisfare specifici bisogni delle persone – viene messo in evidenza dal marketing Barilla – I principali trend includono da un lato l’attenzione alla cura del sé. Da qui il successo della nostra linea Barilla Integrali, una pasta ricca in fibre e capace, grazie alla tecnologia produttiva brevettata, di garantire benessere e gusto in infinte ricette. Dall’altro la ricerca del piacere della convivialità. A metà del 2010 abbiamo lanciato una serie di innovazioni nella linea Piccolini, come le paste Piccolini alle Verdure e i Fagottini, o i sughi Piccolini con minimo 94% di verdure. Un modo per riunire le famiglie a tavola abituando i bambini a mangiare le verdure, anche in forme diverse». «Pur rimanendo fortemente legati ai prodotti della tradizione, l’introduzione di nuove referenze ci permette di soddisfare prontamente le esigenze sempre più ricercate dei nostri consumatori – sottolinea la direzione marketing di Mutti, leader nel mercato delle conserve rosse – Innovare fa infatti parte della tradizione di Mutti. Solo per fare due esempi storici: nel 1951 abbiamo introdotto il Concentrato in Tubetto e nel 1971 la Polpa di pomodoro in finissimi pezzi. La più recente novità di prodotto è la Salsa Pronta di pomodori Datterini, una varietà di pomodoro che conferisce alla Salsa un sapore particolarmente aromatico e gradevolmente dolce». Ma innovare significa anche guardare al futuro del pianeta con una produzione sostenibile. Per questo Mutti ha intrapreso un percorso che, nel 1999, l’ha portata a essere la prima azienda ad ottenere il marchio di "Produzione Integrata Certificata"; ha poi ottenuto la certificazione di “NON OGM” e dal 2011 collabora con il WWF e il Dipartimento di Agraria dell’Università della Tuscia per ridurre sensibilmente il proprio Water & Carbon Footprint.

La forza del brand

Paolo Isolati, direttore marketing del Gruppo Bauli
È importate oggi riuscire a individuare il giusto mix tra tradizione e nuove tendenze. Anche in un settore come il dolciario, che soffre con un trend a volume in leggera flessione -0,3% e con i principali segmenti che lo riflettono (biscotti –0,8% a volume, merendine -1,3%, pasticceria -2,8%). Ne è convinto Paolo Isolati, direttore marketing del Gruppo Bauli, che gestisce brand importanti e di riferimento per molte famiglie italiane (Bauli, Motta, Doria), brand che hanno una storia e che hanno tra gli elementi più caratterizzanti un forte legame con la tradizione. «La marca ha sempre avuto e sempre avrà il compito di innovare, di andare incontro ai nuovi bisogni del consumatore con valore aggiunto in termini di qualità e servizio – spiega – E tenendo ben presente che il mercato è fatto di diversi target. Per quanto riguarda le ultime novità Bauli, infatti, nel segmento delle merende abbiamo due progetti, Morbidi amici e Nuvelle, diversi per posizionamento e target: il primo è un prodotto dedicato ai bambini con un approccio giocoso , il secondo, rivolto a un target più adulto, è la prima merenda che utilizza l’olio extravergine di oliva, rigorosamente di origine italiana, in luogo dei grassi che normalmente vengono utilizzati nelle merende. Anche le aziende del food come la nostra, che non cavalcano l’onda del funzionale, non trascurano l’aspetto del benessere se può rappresentare una caratteristica distintiva e innovativa di un certo prodotto. Per un consumatore sempre più esigente, nella velocità dei mercati, da una parte le aziende cercano di tenere il passo con l’innovazione, dall’altro c’è un naturale processo di recupero delle tradizioni e del passato, di prodotti storici come i panettoni e i pandori ma anche i croissant, più versatili e adatti al momento della prima colazione, sempre importante per gli italiani. «Per rilanciare i consumi in Italia è importante puntare su prodotti di marca, con alle spalle aziende che possano garantire la qualità e, allo stesso tempo, diversificare l’offerta attraverso innovazione di prodotto per poter offrire sempre più valore aggiunto e andare incontro alle mutate esigenze dei consumatori – conferma Maurizio Moscatelli, direttore commerciale di Parmareggio –Il Progetto Parmareggio, che ci ha permesso in pochi anni di diventare un riferimento per il consumatore nel mercato del Parmigiano Reggiano, si basa su una strategia commerciale e di marketing che prevede una ideale suddivisione del mercato del Parmigiano Reggiano in tre segmenti e lo sviluppo di nuovi prodotti nelle diverse aree: il Parmigiano Reggiano utilizzato come condimento (per esempio il grattugiato), come alimento (pezzi, bocconcini, Parmareggio Snack) e la creazione di nuovi prodotti dove il Parmigiano è l’ingrediente base (Formaggini e Fettine)».

Verso una crescita internazionale

Gabriele Ferri, direttore generale di Naturitalia
Federalimentare ricorda che quasi l’80% dell’export agroalimentare italiano è rappresentato da prodotti industriali di marca. «L’export sarà sempre più rilevante in futuro, soprattutto per la grande spendibilità del made in Italy che, specie se supportato dalla marca, può fare la differenza sui mercati esteri in chiave di credibilità e immagine. Per quanto riguarda il dolciario – conferma Paolo Isolati direttore marketing del Gruppo Bauli – c’è stato negli ultimi anni un apprezzamento sempre più diffuso del prodotto panettone mentre lo stesso croissant oggi è un prodotto che in alcuni Paesi con economia in sviluppo può risultare interessante; per questo abbiamo fatto delle scelte in termini di internazionalizzazione come la joint venture con un’azienda indiana per la produzione in loco di una specifica linea di croissant». Tra i prodotti di punta del made in Italy alimentare ci sono senz’altro i formaggi. Non a caso nel mercato dei formaggi duri (Parmigiano Reggiano e Grana Padano), l’andamento complessivo dei consumi nel 2011 è stato caratterizzato da una buona crescita sui mercati esteri (+20,4 a valore rispetto all’anno precedente), che rappresentano ormai il 30% dei consumi (fonte: dati Istat esportazioni). «Per quanto ci riguarda, possiamo affermare che Parmareggio, con le esportazione che valgono circa il 20% del fatturato complessivo, ha chiuso il 2011 in crescita, con un +8% rispetto all’anno precedente – spiega Maurizio Moscatelli, direttore commerciale di Parmareggio – Questo risultato è probabilmente da attribuire in buona parte alla riconoscibilità del nostro brand. Parmareggio ha saputo coniugare la tradizione, il controllo della filiera controllata e la qualità di un formaggio come il Parmigiano Reggiano, elementi distintivi del made in Italy all’estero, con idee innovative e nuovi prodotti per diverse occasioni di consumo. Lo dimostrano i buoni risultati delle vendite del 30 mesi Parmareggio, il prodotto che meglio simboleggia il concetto di eccellenza legato al nostro brand, e il lancio dei Formaggini Parmareggio al Parmigiano Reggiano all’estero, con un packaging dedicato. Siamo quindi convinti che ci siano prospettive di crescita con un progetto di Marca anche sul mercato dell’export». Opportunità, certo, ma con qualche ostacolo: «È impossibile pensare di poter collocare le importanti produzioni italiane presidiando solo il mercato interno – sottolinea Gabriele Ferri direttore generale di Naturitalia – Per veicolare le eccellenze ortofrutticole italiane il settore deve unire le forze investendo importanti risorse a favore della comunicazione con l'intento di far conoscere i propri prodotti e creare l’esigenza specialmente nelle aree del mondo dove i consumi sono al disotto della soglia indicata dall’OMS». Gianni Amidei, amministratore delegato Alegra ricorda poi che in generale, per quanto le opportunità offerte dai mercati esteri siano legate al prodotto e al momento, esistono problematiche di logistica-trasporto-tempistica che non permettono a certe produzioni di raggiungere i mercati più remunerativi.