di Maria Teresa Giannini e Luca Salomone

Mentre tutti puntano a vincere su tutti per volumi e per introiti nella competizione per restare sul mercato, Bauer afferma di andare in direzione contraria. Fondata più di 90 anni fa a Trento, dai due fratelli Augusto e Edoardo, Bauer produce da sempre brodi e insaporitori alimentari, settore in cui, malgrado il calo del comparto registrato a metà anno (-5,2% a volume e -5,5% a valore, dati Iri su elaborazione Edizioni DM a maggio 2022), l’azienda ha superato i 5 milioni di euro di fatturato, rimanendo saldamente terza dopo i leader di mercato. Prima italiana del suo comparto a produrre biologico nel 1996 e da più di 6 anni certificata Family audit (lo standard tutto trentino che misura la conciliazione fra vita e lavoro), Bauer punta a essere sempre più riconosciuta per la cura che mette nel suo processo produttivo e nell’attenzione all’ambiente, due cose per le quali non farebbe gioco l’ambizione alla “grandeur”, come spiega Giovanna Flor, Ceo di Bauer Spa.

Avete sempre puntato su una produzione di nicchia, con lavorazioni artigianali e una qualità superiore: ci spieghi meglio…

Il “mondo” dei brodi è fatto di pochi player ed è dominato da due multinazionali. Bauer ha una quota di mercato mediamente piccola, che si attesta intorno al 6,5%. Raggiungere quote elevate non è di fatto il nostro principale obiettivo. Alla produzione di massa, preferiamo rimanere fedeli a volumi e produzioni di nicchia, artigianali e curate, che consentano ai nostri prodotti di costituire effettivamente una proposta complementare e non in concorrenza agli articoli più mass market, ma piuttosto di completamento per il distributore e il suo cliente più attento alla distintività.

Che strategia seguite, quindi, per raggiungere questo risultato?

Selezioniamo gli ingredienti e operiamo un attento controllo qualità: per esempio, in materia di allergeni non inseriamo sulle nostre etichette la frase “Può contenere tracce di”, ma selezioniamo a monte i fornitori, che devono sempre garantire un livello qualitativo adeguato ed effettuare controlli sulle materie prime. Un passaggio, questo, che viene effettuato in modo massivo anche all’ingresso del nostro stabilimento, in modo da evitare tanto contaminazioni dall’esterno quanto cross contamination interna. Tali attenzioni sono riconosciute sia dai buyer, sia dai consumatori finali, che ci identificano come prodotto di nicchia, ma di alta qualità, dal gusto inconfondibile. Abbiamo condotto molte ricerche di mercato, sottoponendo il nostro prodotto ad assaggi alla cieca, le quali hanno confermato bontà e gusto che ci contraddistinguono, sia come prodotto utilizzato tal quale, sia impiegato nelle preparazioni gastronomiche.

Che tipo di innovazioni si possono apportare in un mercato come questo?

La nostra distintività si sostanzia in lavorazioni lente e curate e nell’utilizzo in quantità rilevante di estratti, le vere materie prime protagoniste dei nostri preparati per brodo e che fanno la differenza in termini organolettici e di pregio. La nostra R&D è di continuo al lavoro per ottenere prodotti meno artefatti e sempre più vicini alle esigenze di naturalità e genuinità del consumatore. Sono esigenze attuali alle quali noi diamo risposta da anni come da anni siamo attenti e pronti a dare risposte in termini di sostenibilità.

Su quali altri fronti, per esempio?

Dal 2011 il nostro stabilimento è certificato Leed, una classificazione statunitense che valuta l’ecosostenibilità dei siti produttivi. Ogni anno, da allora, apportiamo piccole migliorie. Due anni fa abbiamo sostituito l’illuminazione dei reparti di produzione con i Led. Abbiamo investito nella cogenerazione, con sistemi innovativi che non producono gas serra. Grazie a questo Bauer è energeticamente indipendente al 65 per cento. L’investimento, ora più che mai, ci ripaga. Abbiamo in animo l’ampliamento della superficie dei pannelli fotovoltaici, che già oggi copre più di metà del piano produttivo, e il ricorso alla geotermia: ci sono le condizioni geologico-territoriali per farlo e, in quel caso, avremmo persino un surplus di energia rispetto ai nostri consumi medi. Abbiamo un doppio circuito sanitario: uno collegato all’acquedotto, l’altro a delle cisterne di raccolta nel sottosuolo e non nascondo che abbiamo ottenuto molti dei punti Leed grazie alle coperture verdi delle nostre aree, di norma irrigate, appunto, con l’acqua piovana.

Tornando agli imballaggi, avete fatto interventi di sostenibilità anche in quell’ambito?

Il nostro dado è realizzato in modo tradizionale ed è costituito prevalentemente da estratti che lo rendono così morbido e pastoso. Dobbiamo preservarlo anche dall’ossidazione, quindi abbiamo difficoltà oggi a incartarlo con materiali biocompostabili, se questi non garantiscono barriera. Ci stiamo lavorando. Per ora l’imballo primario resta un accoppiato carta/alluminio per il dado, e lattina in banda stagnata per il granulare. Cerchiamo invece, ove possibile, di assottigliare i materiali, sia i cartoni degli espositori, sia i materiali d’imballaggio del reparto spedizioni, sia i film protettivi usati dalla logistica.

Vi interessano canali come il food service e l’industria, che ha bisogno di ingredienti di qualità e ricette specifiche?

Sono ambiti che ci interessano molto, che ancora rappresentano quote residuali sul totale del fatturato, ma sulla cui espansione stiamo puntando. Per quanto riguarda il food service (il 10-12% sul totale) abbiamo storicamente una maggior presa nella provincia di Trento, ma pian piano, con un progetto che si è evidentemente molto rallentato nel periodo pandemico, stiamo cercando gli interlocutori giusti per espanderci in questo canale: il nostro attuale direttore vendite è stato selezionato proprio in base alla competenza specifica in questo ambito, così come per l’industria, seguita a partire da quest’anno da un nostro collaboratore storico, che per anni è stato responsabile della R&D. Un altro settore di interesse e di sviluppo è il canale di prossimità (normal trade, ndr.) che ci consentirà di essere ancora più vicini al nostro consumatore.

Come vanno le vendite all’estero?

Anche in questo caso abbiamo assunto un responsabile commerciale di recente. Abbiamo prima di tutto selezionato i Paesi limitrofi e poi abbiamo allargato le nostre mire. Finora l’estero rappresenta il 6% dell’intero fatturato, ma stimiamo un raddoppio nel 2023. Vedremo se tutta questa “semina” darà i suoi frutti negli anni a venire.

Considerando la shelf life dei vostri prodotti e il fatto che non siano acquisti quotidiani, avete accusato l’incremento dei prezzi oppure no?

Nel corso dell’anno abbiamo già subito e, sfortunatamente, attutito il colpo solo in parte, con gli aumenti che avevamo applicato ai listini all’inizio dell’anno; il prezzo degli estratti però ha avuto picchi di incremento dei costi negli ultimi due anni, evidentemente difficili da assorbire. Abbiamo per forza dovuto trasferire una parte degli aumenti attraverso i nostri listini alla grande distribuzione, che evidentemente ha un interesse specifico a contenere l’inflazione. D’altro canto, possiamo rinunciare a una parte di margine (come è avvenuto quest’anno), ma non possiamo pensare che nulla cambi quando i costi di approvvigionamento esplodono. Sarà un impegno importante per il direttore commerciale e tutta la squadra.