di Emanuele Scarci

A poco più di due mesi da Cibus la manifestazione è in overbooking. In arrivo a Parma molti buyer italiani ed esteri, persino dall’Asia. L’annuncio è dell’amministratore delegato di Fiere di Parma Antonio Cellie che in questa intervista rilasciata a Distribuzione Moderna sottolinea, tra l’altro, che il quartiere ha debiti zero e la partnership Cibus/Tuttofood ha una valenza di tipo industriale.

Dottor Cellie, due Cibus in 8 mesi, con in mezzo Host, Tuttofood e Anuga: non sono troppi?

Non direi, soprattutto dopo quasi 2 anni senza Fiere. Cibus di settembre 2021, in particolare, ha dato un segnale di ripresa e fiducia che ha giovato anche alle fiere venute dopo. Il Cibus di maggio 2022 sarà quello di sempre: attendiamo 60 mila visitatori, moltissimi retailer europei e tanti americani, persino alcune decine di importatori dall’Asia. Durante la pandemia all’estero i buyer si sono accorti che gli italiani non sono soltanto fornitori qualificati ma anche i più affidabili.

A poco più di due mesi da Cibus 2022, quali sono i numeri?

In casa abbiamo già i numeri del 2018, cioè 3 mila marchi e 2 mila espositori su 67 mila mq netti. Siamo già in overbooking.

Nel 2020 Fiere di Parma ha segnato un Ebitda consolidato negativo di 1,8 milioni e 11,7 milioni di debito netto. Situazione ribaltata nel 2021 con quasi 6 milioni di utile. Oggi dopo circa 18 mesi di sostanziale paralisi dell’attività qual è la situazione?

Il 2020 è stato un anno in difesa dove siamo riusciti a bruciare “solo” 1,8 milioni di cassa - pur utilizzando solo parzialmente la cassa integrazione - attutendo la crisi pandemica grazie alle nostre attività diversificate. Abbiamo 2 controllate nel digitale dal 2017 e un impianto fotovoltaico da 7,3 megawatt che, con il balzo del prezzo dell’energia, ci garantisce entrate consistenti non solo dal Gse ma anche dalla vendita di kilowatt. Nel 2021 abbiamo incassato i ristori, ovviamente proporzionalmente alle nostre ridotte perdite e quindi in misura inferiore degli altri player. Nel secondo semestre dell’anno siamo riusciti a organizzare Cibus, Salone del Camper e MercanteInFiera chiudendo l’esercizio, pur avendo fatto importanti accantonamenti, con un utile ante imposte di 5,5 milioni. La nostra posizione finanziaria netta in questo momento è pari a zero e intravvediamo già i 9 milioni di Ebitda previsti nel 2022.

A quanto ammontano i ristori?

Sette milioni per il biennio 2020/21. Nello stesso periodo abbiamo perso 9 milioni di Ebitda ma potevano essere il doppio senza le diversificazioni e la reazione avuta nel 2021.

Quindi Fiere di Parma esce dalla pandemia meglio delle fiere di Milano, Verona, Rimini e Bologna?

Loro hanno costi di struttura completamente diversi. Tenga conto che Fiere di Parma soltanto con gli introiti del fotovoltaico riesce a pagare tutti i costi del personale in assenza di cassa integrazione, la quale abbiamo comunque parzialmente utilizzata più per ragioni sanitarie che economiche. Cig che abbiamo comunque “ristorato” alle nostre risorse riconoscendo loro una mensilità aggiuntiva al settembre 2021. In più bisogna considerare il contributo all’Ebitda dal business digitale (tramite le controllate Aicod – Food&Beverage Digital Provider - e Antico Antico, - portale di antiquariato - ndr) di oltre 600 mila euro all’anno.

Come si potrà realizzare questa sorta di “matrimonio” nel settore agroalimentare tra Parma e Milano, nello specifico fra Cibus e Tuttofood? Lei, in passato, è sempre stato molto geloso della sua autonomia sia rispetto al polo regionale che ad altre ipotesi.

Nessuna gelosia. Tanto meno isolamento come dimostrano le nostre joint venture con Colonia e Verona. Semplicemente i nostri azionisti sono molto selettivi e attenti a progetti che creino valore. Anche con Milano si tratterebbe di un’alleanza di natura industriale che intende armonizzare e specializzare le due manifestazioni, Cibus e Tuttofood. Il dossier è all’attenzione degli azionisti che lo stanno valutando col pieno consenso del management che ha popolato e promosso il progetto; ora tocca agli organi delegati decidere se e come andare avanti.

Dall’esterno l’impressione è che Fiere di Parma, provata dagli effetti finanziari devastanti della pandemia, fosse stata quasi costretta ad accettare “l’invito” di Fiera Milano nell’agroalimentare?

Impressione del tutto infondata vista la nostra ottima situazione economica e finanziaria. Prima e dopo la Pandemia. Mi lasci ricordare che negli ultimi 12 mesi abbiamo perfezionato 2 acquisizioni (MiaPhotoFair e Flormart), lanciato MecFor con Ucimu, quasi definito un accordo con uno dei maggiori organizzatori europei, aperto 2 dossier su altrettanti eventi da “partecipare e portare a Parma” il tutto organizzando 5 eventi internazionali tra le varie ondate pandemiche. Noi ascoltiamo - e facciamo - Inviti Industriali; lo abbiamo fatto in passato con Colonia e Verona – con cui abbiamo delle ottime e durature alleanze tramite joint venture al 50%. Il progetto con Milano sarebbe nel segno della continuità con il passato e potrebbe valorizzare anche le nostre attuali alleanze oltre che le nostre competenze distintive e capacità di investimento.

Potranno convivere in calendario la biennale Tuttofood con l’annuale Cibus?

Abbiamo sempre sostenuto che sono manifestazioni diverse con differenti obiettivi. Cibus è un unicum. Nel cuore della Food Valley è il palcoscenico ideale per il Made in Italy alimentare; localizzata a Parma è il manifesto dei prodotti Dop e Igp. Una grandissima fiera di terroir dove i buyer vengono da tutto il mondo per conoscere origini e caratteristiche dei nostri prodotti. Dalle novità alle nicchie. Tuttofood ha e deve avere ambizioni diverse: competere con i colossi internazionali, come Anuga e Sial. In generale, se c’è la possibilità di rafforzare reciprocamente le fiere italiane, perché non farlo?

Guardi che negli ultimi anni ante pandemia la grande maggioranza degli espositori di Tuttofood erano italiani, in parte comuni a Cibus.

Abbiamo una sovrapposizione del 28%, quindi abbastanza bassa contando che siamo sempre stati ad anni alterni. E comunque una forte base nazionale è il presupposto su cui costruire una eventuale alleanza. Un ottimo punto di partenza per portare in Italia la community mondiale del Food&Beverage. A nostro parere questo è il dovere delle fiere italiane: lavorare sempre meglio - e magari insieme - per aumentare la quota di mercato complessiva del Made in Italy fieristico. Possibilmente in Italia nell’interesse dei nostri territori e degli espositori Italiani. Giocare in casa conviene a tutti.

Mi pare che la vostra futura partnership con Fiera Milano contrasti con il vostro alleato Fiera di Colonia.

Come ho già detto i nostri progetti sono nel segno della continuità e immaginati per creare valore a tutte le parti coinvolte direttamente e indirettamente. Soprattutto quando sono affini. Ad esempio Colonia, come noi, Verona e Milano, ha un business model concentrato sul suo quartiere e sulla sua città. Nel nostro settore dobbiamo abituarci a geometrie variabili per valorizzare la nostra innata creatività e flessibilità e quindi competere su scala globale sempre meglio in un ambiente incredibilmente volatile. La mia sensazione che il sistema fieristico italiano sia uscito dalla pandemia rafforzato in quanto più consapevole dei propri mezzi e del suo potenziale “collettivo”.