Un quartiere fieristico di 300.000 mq al centro dei poli della grande attività produttiva del Nord e del Centro Italia: questa la carta d’identità di Fiere di Parma, una realtà di assoluto rilievo all’interno del panorama italiano. Dal connubio fra competenze fieristiche e idee imprenditoriali sono nate manifestazioni leader come Cibus, Cibus Tec, Mercanteinfiera e Gotha per il settore dell’arte e antiquariato, e il Salone del Camper.
Anche questo importante polo, come altri, ha visto una distonia nella propria attività a causa dell’emergenza sanitaria, tanto che Cibus è stato prima rimandato, ai primi di settembre, e poi posticipato dal 4 al 7 maggio 2021. Nell’edizione 2018, la diciannovesima, la rassegna – organizzata, come sempre, in collaborazione con Federalimente e Ice e alternata, negli anni dispari, con Cibus Connect - ha registrato la partecipazione di ben 3.100 aziende alimentari e 82.000 visitatori. Ne abbiamo parlato con
Antonio Cellie, Amministratore delegato di Fiere di Parma Spa.

L’anno è drammatico. Cosa possiamo aggiungere?

Non c’è molto da aggiungere e purtroppo nemmeno noi facciamo eccezione. Abbiamo dovuto cancellare le manifestazioni, a partire da febbraio, e riusciremo a salvare solo gli eventi di respiro nazionale, visto che, difficilmente, per il 2020, il pubblico e gli espositori internazionali vorranno spostarsi. Ma Fiere di Parma è, dal punto di vista patrimoniale e finanziario, molto solida. Questo ha permesso di mantenere intatta la struttura e di conservare tutti i posti di lavoro.

Come ente fieristico quali misure sanitarie avete adottato?

Già da febbraio abbiamo sviluppato un protocollo Covid free: gli espositori e gli organizzatori vogliono essere rassicurati e l’industria italiana del settore è stata chiamata a implementare alti standard sanitari. E, infatti, la nostra società è stata in grado di confermare, dal 12 al 20 settembre, ‘Il Salone del Camper’. La rassegna si avvarrà di tutte le cautele in termini di distanziamento e sanificazione dei locali, nonché dei mezzi e delle strutture. Ci saranno mascherine, gel e tutto quello che serve per essere veramente anti-Coronavirus, come i sani-tunnel, in grado di igienizzare gli indumenti e le suole delle scarpe. Non dimentichiamo poi la regolamentazione degli accessi e dei parcheggi, onde evitare gli assembramenti. Ma, per i visitatori, l’insieme sarà più che fruibile, solo con qualche accorgimento in più dovuto, purtroppo, a questa terribile pandemia.

Quali le vostre richieste al Governo?

Non abbiamo fatto richieste, almeno come azienda. Preferiamo che si muova tutta la categoria, attraverso i propri organismi di rappresentanza collettiva. È chiaro che si domanderanno forme di ristoro, ma non è pensabile che ciascuno si indirizzi ‘personalmente’ all’Esecutivo. Credo, peraltro, che il Governo non possa trovare soluzioni per tutti, soluzioni che non sono affatto semplici da concepire, date le dimensioni dell’emergenza, assolutamente senza precedenti. Fortunatamente, lo ribadisco, la nostra ‘industry’ è forte e ha notevoli patrimoni immobiliari. Il sistema non è affatto a rischio di sopravvivenza e credo che, con la fine dell’anno, riuscirà a riallacciare le fila del proprio business, anche guadagnando posizioni competitive rispetto a molte piazze estere.

A settembre avete organizzato “Cibus Forum”. Quali saranno i temi?

Il tema dell’evento sarà di attualità, ossia “Food&beverage e Covid: dalla transizione alla trasformazione”. Ci aspettiamo di avere, dal 2 al 4 settembre, circa 500 persone in sala e dalle 2.000 alle 3.000 collegate online, da tutto il mondo. Dibatteremo su temi che stanno a cuore a tutti: come sono cambiati e come cambieranno i consumi, quale sarà il futuro dei vari canali distributivi, come potremo continuare a nutrici bene nei prossimi anni.

Se Cibus 2020 si fosse svolto quali ne sarebbero stati i concetti portanti?

Secondo me il grande tema sul tappeto concerne i modi e le strategie per rilanciare i consumi interni, che rimanda, a sua volta, alla necessità di un patto solido fra industria e distribuzione. In assenza di un filo rosso che leghi questi due grandi protagonisti, non può esserci efficienza. Quest’anno, durante il Covid, i prodotti da ricorrenza pasquali, tanto per citare un caso, hanno incontrato grandi difficoltà, perché l’epidemia ha rotto l’equilibrio. La logistica e l’industria hanno continuato a funzionare, ma il difficile accesso ai punti di vendita ha creato un collo di bottiglia. È un caso anomalo, senza colpevoli e verificatosi in condizioni altrettanto anomale, ma insegna quanto sia importante il legame tra i diversi ‘mestieri’. Si è capito, se ce ne fosse stato bisogno, che il disservizio di uno degli anelli della filiera si traduce in un’emergenza per tutti.

La situazione dell’export, con il Covid, è diventata pesante. Federalimentare teme un forte ribasso. Cosa può dirci?

Molta parte del nostro export è riconducibile al fuori casa, specie se pensiamo ai beni a più alto valore aggiunto. Dunque, il calo ipotizzato e in corso, all’estero come in Italia, è riconducibile più che altro alla lunga fermata dell’Horeca, con l’aggravante che, oltre confine, la quota di vendite dovuta alla ristorazione è di gran lunga più elevata rispetto alle medie del mercato interno. Parliamo, per fare qualche esempio, di un 60% dei consumi a valore per la Spagna e di un 55% per gli Usa. E anche la riapertura di bar e ristoranti, avvenuta recentemente, non ha coinciso con una ripresa completa, in quanto i consumatori conservano un atteggiamento prudente per quanto riguarda le uscite e permangono misure di distanziamento sociale. Dunque, la previsione, per il 2020, è di una perdita del 15% sia all’export, sia sul mercato interno.

Concludiamo tornando alle fiere. L’investimento nel digitale, accelerato dalle circostanze, diventerà un’opportunità per il futuro?

Fino a un certo punto, visto che la telematica, volendo estremizzare, assolve più che altro alle funzioni di un catalogo molto evoluto. Questo non significa chiudersi al nuovo e, anzi, Fiere di Parma è stata anticipatrice, rilevando, nell’autunno 2019, il 51% di AnticoAntico, il più grande marketplace di antiquariato, fortemente sinergico con Mercante in Fiera, e acquisendo Aicod, il più grande provider di servizi per il food & beverage. Grazie a questi investimenti, fatti in ‘tempi non sospetti’, il 2020 si chiuderà per noi in modo meno pesante. Ma questo non significa che il digitale possa sostituire il nostro business. Semplicemente è uno strumento per fidelizzare i nostri espositori, dando loro servizi quasi gratuiti a fronte della disponibilità a investire nelle fiere. Detto altrimenti: il nostro settore non potrà mai identificarsi con la new economy. Le fiere sono, dopo tutto, imprese del real estate, dunque fisiche e chiamate ad allocare spazi e a muovere anche un indotto composto da alberghi, ristoranti, cinema e quant’altro.

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