Bolognafiere in collaborazione con Adm-Associazione distribuzione moderna, accende i riflettori su Marca 2019, che si svolge il 16 e 17 gennaio. Abbiamo chiesto a Giorgio Santambrogio, presidente di Adm e amministratore delegato di Gruppo Végé, di identificare i più recenti traguardi della marca del distributore e i principali temi che guidano la due giorni emiliana, a cominciare dal rapporto fra la Gdo e la sicurezza alimentare, centrale in questa edizione, che, fra l’altro, registra una crescita degli spazi pari al 10% e 750 espositori.

Perché la sicurezza?

Perché il luogo più sicuro dove comperare prodotti alimentari è rappresentato proprio dai punti di vendita della distribuzione moderna: qui possono infatti acquistare con fiducia ogni tipo di articolo, ma soprattutto le Mdd, garantite da un sistema di controlli capillare e approfondito, come dimostrato dal position paper di ‘The European House Ambrosetti’ (vedi articolo di ‘Primo Piano’ ndr). Questi prodotti sono la nostra bandiera: abbiamo lavorato molto per assicurare qualità e sicurezza e continueremo a investire in futuro. Questo non vuol dire che altrove regni l’insicurezza, ma segnala uno dei nostri primati. Devo aggiungere che la marca del distributore è tanto più sicura in quanto, se i controlli fatti sui prodotti dell’industria sono già molti, i controlli della Gdo sui propri prodotti diventano intensissimi. Qui noi mettiamo in gioco la nostra immagine, la nostra insegna, il nostro prestigio. Ed è per questo che, il più delle volte, il responsabile del controllo qualità della Dmo riferisce direttamente all’amministratore delegato, o al direttore generale.

Per quale motivo Marca ha un tema?

Perché vorremmo fare evolvere questo evento da fiera della Mdd ad appuntamento culturale riguardante non il solo retail, ma tutto il sistema della marca commerciale. Questo significa porre l’accento su una serie di concetti che coinvolgono tutta la filiera. E quale concetto è oggi più importante dalla sicurezza? Da qui è derivata, come ho accennato, la nostra richiesta a ‘The European House Ambrosetti’, che ha svolto una ricerca ad hoc sulla sicurezza alimentare nella Gdo. L’analisi è, e sarà, un tema di informazione e riflessione permanente. Questa nuova visione, lo scorso anno, si è concretizzata nello studio della Mdd come generatrice di valore aggiunto per tutto il Paese, un elemento di riflessione che oggi è compreso da tutti, specie se si ricorda che il nostro comparto garantisce più di 1 milione e mezzo di posti di lavoro. Inoltre la grande distribuzione non delocalizza, vuole continuare ad aprire punti vendita, vuole continuare ad assumere e ad assicurare, a una vasta quantità di piccole e medie imprese partner, al 91,5% italiane, un accesso alla Dmo che forse non avrebbero e livelli di fatturato in crescita.

Parliamo della quota della Mdd…

La Mdd è ormai prossima al 20% delle vendite in valore e sta crescendo a ritmi elevati, persino anticiclici. Se consideriamo che il livello di prezzo dei nostri prodotti è costantemente monitorato, il dato in volume sale ulteriormente. Ci accorgiamo così che, alle casse, un articolo su quattro porta il nome del distributore.

Una quota comunque piccola rispetto a quella di altri Paesi…

Se è vero che la Mdd in Italia è ancora lontana dai livelli record raggiunti in molte nazioni, come la Gran Bretagna o la Germania, dove le incidenze superano il 40 per cento e dalla media dell’Europa, del 30%, è altrettanto vero che questo 30% è stato raggiunto da quelle insegne nazionali che meglio lavorano sulla propria marca. Il dato del 20% è ovviamente una media, che comprende le insegne con una forte intensità di marche proprie e quasi vicine alla saturazione e quelle con una bassa incidenza.

Qual è stato il principale gol degli ultimi anni?

L’indipendenza. La Mdd si è liberata dalla minorità nei confronti dell’industria di marca e il rapporto con i copacker è diventato solido, di lunga o lunghissima durata. Questo permette oggi di fissare l’assortimento della Mdd come paletto nella creazione della filiera di prezzo e di posizionamento dello scaffale sia nel mainstream, sia nel premium. Non è una conquista contro l’industria, ma mette la Gdo nelle condizioni di dettare in modo autonomo il paradigma del proprio business. Inoltre la marca del distributore non si identifica più con l’espressione private label, sia perché con l’estensione dell’offerta online diventa pubblica, sia perché ha ormai superato definitivamente, come ho detto, il bisogno di ricalcare i passi dei leader. Oggi è una marca fatta dall’industria del commercio, autorevole e capace di giocare un ruolo molto più importante rispetto ad alcuni brand dell’industria. Ha perso la valenza primordiale di articolo di prezzo e sta crescendo, con ritmi molto significativi, soprattutto nella fascia alta. Oggi è normale trovarla posizionata in un’offerta premium di livello superiore agli stessi prodotti premium dell’Idm. Addirittura la Mdd anticipa l’industria nella creazione di determinati prodotti, grazie alla conoscenza quotidiana dei bisogni del cliente.

Si può parlare di uno scontro fra Mdd e industria di marca?

Non credo troppo nelle contrapposizioni nette come è, appunto, quella che vedrebbe opposti i prodotti di marca e le Mdd. In ogni caso essere indipendenti è un diritto e per noi questo concetto non comporta certo di negare all’industria i propri meriti nel processo di costruzione del concetto di marca e non significa nemmeno volere escludere l’Idm dagli scaffali. Ma i distributori devono svolgere al meglio il proprio compito e assicurare un’offerta di qualità il più possibile ampia e profonda.