L’agenzia pubblicitaria milanese Tum Italia, specializzata nella pianificazione di campagne sampling, sta realizzando la seconda edizione dell’indagine audiSample, che ha come partner principali Distribuzione Moderna e LeFac.com. Lo studio, che si chiuderà a fine ottobre e che verrà presentato alla metà di novembre, è rivolto principalmente alle aziende, ma anche alle agenzie e ai centri media. È un sondaggio libero, veloce e anonimo, come si può scoprire da un nostro precedente articolo. Abbiamo chiesto ad Andrea Vitrotti, fondatore di Tum Italia, qualche anticipazione e alcune riflessioni sul sampling in generale.

Quali sono le novità dell’edizione 2018?

Grazie ai feedback della scorsa edizione, quest’anno abbiamo aggiunto, tra le voci di spesa delle operazioni di sampling, anche il trade marketing, che, di fatto, è una new entry che a oggi cuba quasi il 20% del budget. Si osserva una forte polarizzazione: un quarto dei rispondenti muove quantità enormi di sample, con una netta prevalenza di chi ne distribuisce da 1 a 5 milioni (15%), seguito da chi ne veicola da 5 a 25 milioni (4,26%) e da coloro che si collocano oltre i 25 milioni (2,13 per cento).

Cosa l’ha stupita nella prima edizione?

Sicuramente il fatturato del settore, che, a conti fatti, si dimostra più elevato di quello dell’intero direct marketing, il 2017 era stimato a 430 milioni di euro. Tuttavia a questa cifra, importante, non corrisponde un vissuto di fiducia verso l’attività di sampling e nemmeno una strategia per incrementare la redemption. Le imprese sono consapevoli che, ogni 100 euro investiti, circa 40 vadano sprecati per una serie di ragioni: perché i campioni arrivano alla stessa persona e sono dunque contatti duplicati, o perché vengono consegnati a persone diverse rispetto al target desiderato. Il fatto è che questa attività è ancora un corollario, un 'di cui' di azioni ed eventi più articolati, sempre sotto l’egida del direct marketing.

La scarsa attenzione accomuna tutti?

Per fortuna no. Per esempio chi si occupa di trade marketing è molto attento e fortemente orientato agli obiettivi, per cui le azioni svolte in partnership con la Gdo sono efficaci, oculate e danno certezze. Distribuendo nel punto vendita si è sicuri che il sample arrivi nelle mani del responsabile di acquisto, entri nelle case, venga utilizzato e, generalmente, dia luogo a un processo di acquisto.

Torniamo alla dispersione. Non è un fattore che accomuna ogni azione pubblicitaria?

Chi si occupa di marketing è abituato a ripartire il budget in funzione degli obiettivi da raggiungere attraverso i media che garantiscono il miglior risultato. Non a caso i maggiori investimenti in pubblicità sono su mezzi classici, come tv, radio, digital ecc. Intendo dire che, se esistesse un metodo per avere la garanzia di una riuscita perfetta, di sicuro sarebbe oggetto di grande impegno finanziario, un impegno che però non verrebbe esteso al sampling. E questo è assurdo, visto che il sample racchiude in sé un grandissimo valore aggiunto, di fatto rappresenta l’azienda, la sua storia, la sua evoluzione, i suoi investimenti, formando un biglietto da visita di straordinaria efficacia. Di contro ci sono aziende che fanno sampling, che non attuano nessuno monitoraggio. A oggi, fortunatamente, questa percentuale è in calo rispetto allo scorso anno. Detto questo bisogna aggiungere che, per fortuna, ci sono casi virtuosi, nei quali vengono innescate sinergie fra i media classici e la pianificazione dei sample.

Perché investire nel sampling?

Perché la possibilità di collocare il prodotto nelle case dei consumatori facendolo provare nel luogo giusto, al momento giusto è uno strumento molto potente, ma soprattutto perché, negli anni recenti, i mezzi per pianificare questa attività si sono evoluti. Il giro di boa è stato l’avvento dell’e-commerce. Attraverso i box del commercio elettronico si ha la certezza di arrivare direttamente nelle mani del responsabile di acquisto, superando tutte le incognite e le barriere che si presentano con i metodi classici.

Se Internet è il punto di svolta, cosa rimane alle metodiche classiche?

Non ritengo che siano del tutto superate, ma bisogna riflettere sul mezzo. Chi si avvale della distribuzione attraverso la stampa non può dimenticare che riviste e giornali cartacei hanno diffusioni in calo e percentuali di reso da considerare. Molto diverso è appoggiarsi al punto di vendita, un luogo dove si verifica un incontro certo con il responsabile di acquisto. Ma attenzione: in questo caso sarebbe opportuno appoggiarsi a promoter, perché non si può pensare che il personale, si tratti del farmacista o dell’addetto di un supermercato, si distolga dal proprio lavoro per dedicarsi alla distribuzione di campioni omaggio. Del resto più si aumentano i passaggi che un sample compie, più crescono le possibilità di insuccesso.

Il sampling dovrà sempre rimanere confinato nel mondo del largo consumo?

Faccio una premessa. Nel mass market il sampling ha dato, per ora, il meglio di sé. Ricordo soltanto che una nota azienda dolciaria italiana ha veicolato, non molto tempo fa, circa 2 milioni di sample solo per il lancio di un nuovo prodotto e aggiungo che una famosa multinazionale del non food ha condotto una campagna di parecchi milioni di sample per supportate il lancio di una nuova referenza. Ma indubbiamente ci sono settori che potrebbero avere grandi benefici da questa tecnica, almeno se pensiamo al sampling in senso allargato, come una costola del direct marketing. Le compagnie telefoniche e gli istituti di credito, tanto per fare un paio di esempi, potrebbero erogare soluzioni di cartotecnica di alto livello nei box dell’e-commerce, avendo la certezza del contatto. E se anche da noi il trend delle vendite online seguirà il trend naturale di crescita che c’è in Europa, un fatto più che probabile, posso dire che ne vedremo delle belle


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