La crescita del vino italiano all’estero è trainata dai grandi marchi, che contribuiscono per il 7% del valore complessivo dell’export di vino imbottigliato. Cantine come Alois Lageder, Argiolas, Biondi Santi Greppo, Ca’ del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè Malvolti, Donnafugata, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi. 19 aziende che nel 2004 si sono coalizzate dando vita all’Istituto Grandi Marchi (IGM). Dal 14 maggio l’Istituto del vino di qualità è guidato da Piero Mastroberardino. Classe 1966, Mastroberardino si divide tra l’attività accademica (è professore ordinario in discipline manageriali all’Università di Foggia) e quella imprenditoriale che lo vede impegnato nell’omonima casa vinicola, la più antica della Campania. A lui abbiamo chiesto di fare il punto della situazione sulle strategie di promozione del vino italiano.

Dal 2008 al 2013 l’export del vino italiano è cresciuto del 45% a valore e del 23% a volumi. Cosa ha determinato l’inversione di tendenza e qual è stato il ruolo del IGM?

In questi anni di maggior rarefazione dei consumi sul mercato domestico, l’attenzione si è generalmente spostata sui paesi più lontani, alla ricerca di nuove opportunità di sviluppo o del consolidamento di quelle esistenti. Ciò è avvenuto naturalmente, in considerazione del fatto che il calo dei consumi interni non è un dato congiunturale, bensì strutturale. La crisi innescata nel 2008 nell’area Euro ha rappresentato una sorta di catalizzatore di processo.

L’Istituto Grandi Marchi di per sé raccoglie un gruppo di famiglie del vino storicamente attento ai mercati più lontani, poiché sono tutte imprese che hanno trainato a lungo il proprio territorio di origine ponendosi come promotori del legame forte che esiste tra brand familiari e brand territoriali. Direi che l’iniziativa di IGM in questi anni ha avuto il pregio di essere fortemente sinergica e di trasferire il messaggio dai brand familiari al brand collettivo del vino italiano di alto pregio, considerato che tutte le iniziative svolte in questi dieci anni e oltre di attività hanno comunicato in prima battuta questo messaggio positivo d’assieme.

L’Istituto Grandi Marchi è presente a Expo, nel padiglione “Vino, a taste of Italy”. Quali iniziative avete in programma e quanto l’esposizione di Milano può aiutare la promozione del vino italiano?

Expo è un evento enorme, credo non sia facile riuscire a ottenere focalizzazione su messaggi specifici. La promozione dei valori culturali di questo Paese a grandi linee senza dubbio. È a mio avviso un taglio informativo sul sistema vino in senso aggregato, almeno in queste prime fasi. Abbiamo in programma, nei mesi a seguire, alcune azioni più mirate, supponendo che dopo queste prime settimane si possa iniziare ad avere un quadro più chiaro dei flussi di visitatori e delle loro “profilazioni”.

Quali sono i canali distributivi attraverso cui viaggia il vino italiano nel nostro Paese e soprattutto all’estero? E quali, invece, i canali preferenziali su cui puntate per far conoscere il vino italiano?

Il vino italiano riesce a coprire bene tutti i segmenti di consumo. Dunque anche in merito alla distribuzione può trovare spazi in un’ampia varietà di canali. È chiaro che i nostri canali di maggior vocazione sono quelli classici dell’horeca, quelli nei quali tuttora si comunica con più efficacia la qualità delle produzioni di territorio e la loro forza distintiva, ma le aziende guardano con attenzione a tutti i segnali provenienti dal mercato, per poterne monitorare la compatibilità rispetto ai propri obiettivi di posizionamento dei brand.

Negli ultimi anni è cambiato il rapporto con la Distribuzione organizzata anche per i grandi marchi, sempre più presenti sugli scaffali, spesso in spazi dedicati al vino di qualità. Cosa c’è nel futuro del rapporto con la Do e Gdo?

Le formule del dettaglio moderno si sono evolute negli ultimi anni, con l’intento di qualificare sempre di più l’assortimento in materia di vini. Il canale d’asporto tradizionale ha subito mutamenti strutturali non trascurabili nello stesso periodo. Più i canali moderni arricchiscono l’offerta di contenuti informativi di livello professionale, più sono in linea col posizionamento dei prodotti di pregio e percepiti positivamente dal consumatore. È un processo graduale, in corso. Resta tuttavia importante il ruolo dell’enoteca di pregio nelle aree cittadine, poiché arricchisce la spedizione d’acquisto di peculiarità difficilmente sostituibili.

Se dovesse elaborare una strategia nazionale per la promozione del vino, su cosa punterebbe?

Sinceramente, non ho questa pretesa. Mi basta il mio lavoro… Mi limito a dire che sono ormai decenni che chiediamo di evitare iniziative pseudo-promozionali scoordinate, attuate da enti di diverso livello, che fanno confusione senza apportare reali contributi di valore. E da almeno altrettanto tempo insistiamo perché la burocrazia di questo Paese sia oggetto di una attenta revisione e semplificazione, considerato che il peso dei costi dell’apparato della Pubblica Amministrazione incide considerevolmente sui fattori di competitività delle imprese su base internazionale.

Quanto gli italiani conoscono e apprezzano la varietà della produzione nazionale?

Gli italiani ne hanno buona cognizione per linee generali. Poi la capacità di entrare nel dettaglio dipende dal livello di passione e di approfondimento di ciascuno. Ma senza dubbio la situazione attuale è molto migliorata e il livello culturale rispetto alla materia vino è cresciuto notevolmente in questi anni.

Giancarlo Panico – Redazione DM Sud