Cali di vendita per l’olio d’oliva, che pure continua ad aumentare il proprio giro d’affari. Secondo i dati di Gfk Panel Services Italia relativi all’anno terminante a ottobre 2006, il settore movimenta quasi 230 milioni di litri, evidenziando una flessione di 3,2 punti percentuali. Il fatturato, al contrario, vede incrementi dell’11,2% e supera il miliardo di euro, passando a un miliardo e 60 milioni o poco più. Gli ultimi due anni, infatti, sono stati caratterizzati da una minore promozionalità. Le aziende infatti hanno margini di guadagno inferiori, e preferiscono quindi investire meno in attività sul punto vendita. Nonostante la promozionalità rimanga abbastanza alta, ha subito comunque una contrazione. Non è una situazione strana, se si considera che già dal 2005 i fortissimi aumenti di prezzo subiti dalla materia prima hanno avuto inevitabili ripercussioni sul prezzo al consumatore. Questo a sua volta ha determinato un decremento nelle vendite, sia sul mercato nazionale, che nelle esportazioni. La situazione non è agevolata dalle procedure per l’import/export, che in Italia sono più lunghe che in paesi come la Spagna, per esempio. E proprio il mercato spagnolo ha tratto vantaggio dal calo della domanda estera per i prodotti italiani. Vendendo oli di fascia più economica, i confezionatori spagnoli hanno registrato forti incrementi nei litri commercializzati nei paesi europei. All’Italia vengono tarpate le ali anche su un altro fronte: quello dei blend, cioè delle miscele tra oli d’oliva e oli di semi. Ogni paese membro dell’Ue può decidere come regolamentare questa produzione. In Italia è vietata, sia per il mercato italiano, sia per l’esportazione all’estero. Un’opportunità in meno per sollevarsi da questa crisi dei consumi, dato che si tratta di un prodotto molto richiesto, nei mercati asiatici e anche negli Stati Uniti. C’è anche un paradosso di fondo, se vogliamo. La Francia, per esempio, non solo può produrre olio extravergine d’oliva in miscela con olio di semi, ma può anche commercializzarlo in Italia. Il comportamento a livello comunitario è troppo poco uniformato. E’ comprensibile allora che i produttori italiani si stiano muovendo in tal senso intensamente con le associazioni di categoria per ottenere un regolamento uniforme per tutti.

Prezzi in calo?
Per quanto riguarda i prezzi, attualmente si registra un’inversione di tendenza. Da novembre 2006, infatti, le stime produttive del Consiglio Oleicolo Internazionale che vedono la produzione mondiale crescere dell’8,5% (Ue +10%, Italia -4%) hanno portato a un abbassamento dei prezzi all’origine. Secondo i dati della borsa merci di Bari, l’extravergine ha visto il prezzo al chilo calare addirittura di più del 20% rispetto a novembre 2005. A questo, per ora, non è corrisposta una contrazione dei prezzi per il consumatore.

L’extravergine domina
Gli italiani sembrano prediligere la qualità, anche se un po’ più costosa. E’ l’olio extravergine, infatti, a fare la parte del leone nelle vendite, commercializzando ben oltre la metà dei litri dell’intero settore (poco più di 164 milioni, corrispondenti al 71,5% del totale). Analoga percentuale (72,2%) per il giro d’affari mosso, che ammonta a quasi 766 milioni di euro. Mentre il fatturato sale (+11,3%), i volumi calano di 2,7 punti percentuali. Dato negativo, ma solo relativamente, considerando che l’olio di oliva ha subito una perdita maggiore, del 4,7%. Con quasi 64 milioni di litri, rappresenta circa il 28% dell’intero mercato. Il valore vede un incremento del 10,9%, superando di poco i 290 milioni di euro. Rimangono le briciole per l’olio di sansa, che tuttavia è l’unica tipologia a crescere in quantità vendute: con un aumento del 6,4%, vende un milione e 589mila litri, per un fatturato di 4 milioni 751mila euro. In generale si assiste a una segmentazione verso l’alto. All’interno del segmento extravergine riscuotono particolare successo alcune categorie interessanti per il mercato attuale: i Dop (in Italia i riconoscimenti sono più di 35), gli oli biologici, i 100% made in Italy e i monovarietali, che provengono da singole varietà di ulivo. Pur essendo il consumo dell’olio un consumo millenario, ci sono elementi di novità che ne fanno un mercato “giovane”. Il consumatore sta avvertendo molto il principio della diversità e sta cercando di orientarsi. Già il 20% del mercato di consumo degli extravergini è dato da questi oli che hanno una loro identità e un loro profilo di gusto e sensazioni molto particolare. Sensibili a questa tendenza, anche le private label si stanno orientando verso le tipicità. In questa evoluzione chiaramente la tracciabilità sta incontrando notevole successo. Recentemente il parlamento ha approvato una nuova normativa secondo la quale nei ristoranti (così come fu fatto anche per l’acqua minerale) bisogna dare un prodotto confezionato, anche nel caso dell’olio d’oliva. Niente più oliere, quindi, ma miniconfezioni di olio. Questo rappresenta un dato estremamente interessante, perché con le monodosi il consumatore potrà decidere quale olio utilizzare per le varie pietanze e magari cambiare all’interno del pasto. In Italia ci sono più di 300 tipi di ulivo in coltivazione. Questa varietà può essere giocata in termini positivi utilizzando i vari oli per accompagnare i numerosi cibi che compongono la varietà della nostra cucina. E’ nell’interesse nazionale educare il consumatore alla diversità.

L’importanza di una scelta consapevole
Un primo passo in questa direzione è stato compiuto dall’Unione Nazionale Consumatori in collaborazione con l’Osservatorio Bertolli. E’ stato infatti stampato un opuscolo informativo dal titolo “A tu per tu con l’olio d’oliva”, distribuito a tutti i soci dell’Unione Nazionale Consumatori, disponibile in tutte le sedi UNC e veicolato da Unilever in occasione delle iniziative relative a Bertolli, quali attività in store o mailing. Il leaflet è volto - in modo molto chiaro e semplice – a informare sui requisiti e le peculiarità dell’olio d’oliva e a promuoverne l’abituale consumo nelle diete degli italiani. A prescindere dalle diverse informazioni pratiche, quali l’uso in cucina, il metodo di conservazione e l’apporto calorico, più interessanti dal punto di vista delle aziende sono i paragrafi dedicati al riconoscimento della qualità di un olio extravergine di oliva, alla differenza tra gli extravergini italiani e quelli stranieri e ai motivi delle forti differenze di prezzo tra una marca e l’altra. Tali informazioni dovrebbero rendere il consumatore più in grado di orientarsi all’interno della vasta offerta e soprattutto in grado di apprezzare ciò che fa di un extravergine un buon extravergine.

Differenziare
I principali competitor del settore sono Unilever con Bertolli, Carapelli (di Carapelli Firenze, acquisita nel 2005 da Sos Cuetera), e Monini. Comune a questi tre marchi è la voglia di differenziazione, per offrire una ricca gamma di prodotti in grado di soddisfare i gusti più diversi dei consumatori, nelle varie occasioni e per accompagnare le varie pietanze. Bertolli, oltre all’olio di oliva, ha un’intera gamma di extravergini: dal gentile al robusto, dal classico al delicato, dal fragrante al fruttato, fino ad arrivare a Rocca dell’Uliveto e Poggio dell’Ulivo, due miscele di oli selezionati. Carapelli ha addirittura creato un olio studiato apposta per i bambini, le future mamme e le mamme in allattamento, nonché per gli anziani. Si chiama Nobile Bimbi ed è un extravergine ad acidità ridotta, con l’aggiunta di vitamina A e vitamina E. Delizia è particolarmente delicato, Le Macine è particolarmente indicato per gli usi a crudo, Ligustro presenta una lieve nota piccante e un leggero retrogusto di carciofo e mandorla. Carapelli fa dell’olio anche un condimento completo, con quattro nuove referenze di oli aromatizzati: all’aglio e peperoncino, ginepro e rosmarino, limone e prezzemolo, funghi porcini. Anche Monini offre alcune specialità premium, oltre al Classico: Gran Fruttato, Dop Amabile Umbro e Bios, dedicati agli intenditori.