Con il Dpcm dell’8 marzo, relativo alle misure di emergenza legate all’epidemia Coronavirus, il sistema dei beni di consumo e, specialmente, i consumatori, si interrogano sui rifornimenti dei beni, specie per quanto riguarda quelli di prima necessità.

A livello nazionale, a rigore, il problema non dovrebbe intaccare le attività logistiche in Lombardia e nelle 14 provincie isolate dalla Presidenza del Consiglio, ma il condizionale, appunto, è d'obbligo, visto che sono state le imprese stesse a dovere chiedere lumi, sulla frase, onnicomprensiva, di cui all'articolo 1, lettera a. Un dubbio del tutto legittimo, visto che viviamo in una società altamente burocratizzata e spesso gestita da sottili distinguo e regolamenti attuativi.

Scrive Confrasporto, aderente a Confcommercio: "Il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, da noi contattato, ha riferito di aver parlato con il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che gli ha fornito assicurazioni che per le imprese di trasporto e per i loro lavoratori che esercitano la loro attività non esistono limitazioni. Quindi quella frase, dell’articolo 1 lettera a, che parla di comprovate esigenze lavorative significa libera operatività per i trasporti”.

A sollevare, giustamente, l’inquietante interrogativo è stata fra gli altri Cia-Agricoltori italiani: “E’ urgente – sostiene l’organizzazione - l’emanazione di una circolare attuativa del Dpcm per una corretta interpretazione delle disposizioni in merito alla circolazione delle merci e dei lavoratori all’interno della zona rossa. Questa la richiesta al Governo di Cia-Agricoltori Italiani, che ritiene urgente la diramazione di chiarimenti sulle limitazioni introdotte dal decreto, per una spiegazione chiara e inequivocabile della dicitura “comprovate esigenze lavorative” onde evitare il blocco delle attività produttive delle aziende agricole nelle zone interessate”.

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