Mentre non è per niente intuitivo, specie a causa delle autonomie regionali e locali, dove, come e cosa riaprirà o non riaprirà il 18 maggio - quasi sicuramente parrucchieri, estetisti, abbigliamento, una larga parte della ristorazione – quello che è invece una certezza è che molte imprese non riapriranno affatto.

I dati del centro studi di Unimpresa fanno paura, anche se forse qualche aiuto potrebbe venire dal nuovo Decreto rilancio varato ieri, 14 maggio.

Secondo l’associazione delle piccole imprese il 30% delle attività legate al commercio al dettaglio e alla ristorazione non sarà in condizione di ripartire e non riaprirà: per almeno un terzo degli imprenditori, la riapertura di alcuni esercizi commerciali è infatti non conveniente sul piano economico, tenuto conto dei costi fissi che non vengono in alcun modo congelati né ridotti (affitti, utenze, tassa sui rifiuti e sul suolo pubblico) e di nuovi costi aggiuntivi legati alla sanificazione dei locali, all'approntamento di strutture divisorie, al miglioramento della circolazione dell'aria e alle eventuali e volontarie certificazioni anti Covid.

Unimpresa constata che il crollo del 30% di negozi, bar e ristoranti si potrebbe tradurre, considerando le attività connesse, in una riduzione del giro d’affari complessivo che interessa 250 miliardi di euro di prodotto interno lordo: a questa cifra si arriva partendo dal presupposto che il 60% del Pil è legato al mercato interno e che il 30% di questo mercato (ovvero il 18% del totale del prodotto interno lordo) potrebbe subire pesanti ripercussioni.

Tutte queste attività si ritroveranno a saldare affitti, tasse e merce in negozio e tutti si dovranno attenere alle nuove disposizioni sulle distanze (4 metri per la ristorazione e 2 per i parrucchieri).

In sintesi, un bar che riapre potrà lavorare con un terzo dei clienti e, dunque, un terzo degli incassi, semplicemente perché non li potrà fare entrare nel proprio esercizio.