di Luca Salomone

Solo il 39 per cento degli italiani è soddisfatto della propria esperienza al supermercato: il dato, abbastanza allarmante, emerge da una nuova ricerca, svolta da Bain Italia e intitolata, non a caso, Net promoter store’ (Npt).

Il concetto del Net promoter score

Il titolo, sia detto per inciso, rimanda, palesemente, al concetto di 'Net promoter score', indice che misura in modo semplice il livello di appagamento degli acquirenti, grazie a un sondaggio breve, il più delle volte di pochi minuti.

L’indicatore non è particolarmente sofisticato, ma, in compenso, è molto efficace: l’impressione a botta calda, o sentiment, è forte e persistente e, anche se un po’ irrazionale, condiziona, più di molte riflessioni, le decisioni future. Nei casi limite porta a cambiare il proprio punto vendita o la propria insegna di fiducia.

Torniamo alla ricerca Bain che evidenzia, in vari canali del retail alimentare, fra cui la Gdo, i momenti cruciali che hanno il potere di incidere di più sull’esperienza del cliente – in positivo o, al contrario, in negativo - portando a riacquistare, o meno, presso quel dato negozio.

Due punti caldi in Gdo

Particolarmente rilevante è il buon assortimento dei freschi - frutta e verdura, macelleria, pescheria, gastronomia e latticini –, mentre, al secondo posto, si colloca l’atto dei pagamenti alle casse, più o meno rapido, più o meno facile, più o meno agevolato dallo staff di vendita.

Che sia importante accontentare le persone per farle tornare è piuttosto evidente, ma ha anche altri risvolti, come osserva Mauro Anastasi, partner di Bain: «L’esperienza ha un impatto particolarmente significativo sulle performance commerciali: in Italia, un cliente soddisfatto, infatti, spende di più e visita il negozio più spesso. Il gap, rispetto a chi rimane deluso è, addirittura, del 45 per cento». Una simile variazione dello scontrino e della frequenza di visita non è certo indifferente, soprattutto in tempi di inflazione e, dunque, di forsennata ricerca del prezzo migliore, una priorità che genera infedeltà.

Non tutta l’Italia è uguale. Infatti, al Nord, i clienti apprezzano maggiormente l’esperienza in pescheria e l’offerta di frutta e verdura, mentre nel Mezzogiorno danno massima priorità alla macelleria e alla zona casse.

Le diverse Italie

«I clienti nostrani hanno valutazioni e atteggiamenti molto diversificati, in base all’insegna di riferimento e all’area geografica in cui effettuano l’acquisto - precisa Anastasi -. I consumatori di Lazio, Marche e Toscana rivelano la soddisfazione più alta, mentre i clienti siciliani e sardi sono quelli che riportano le esperienze di acquisto peggiori».

C’è tuttavia un elemento comune a tutti i nostri connazionali ed è, si è visto, la centralità del fresco rispetto al secco. «L’ortofrutta, in particolare, è l’asset vincente – prosegue Anastasi - e, quindi, in teoria, per un operatore della Gdo sarebbe sufficiente allinearsi a quanto offerto dal migliore performer per generare un incremento dei ricavi complessivi di oltre il 2 per cento».

Non solo: per la distribuzione, il divario fra la realtà leader nel soddisfare i propri clienti e la concorrenza è particolarmente ampio, con un ‘Net promoter score’ che differisce di 20 punti.

Parte di questo stacco, torniamo a dirlo, è generato anche dai tempi di attesa in cassa: i clienti più insoddisfatti su questo punto sono quelli che fanno la spesa in Sicilia, a Roma e nel Nord-Ovest.

Investire sulle risorse umane

«Monitorare la coerenza dei diversi momenti delle fasi di acquisto e la distribuzione geografica delle esperienze, anche in relazione agli scontrini, è particolarmente utile per comprendere dove e come intervenire. La soluzione è infatti selezionare le proprie aree critiche per Nps e/o per livello dei costi e scegliere alcuni, forse pochi, passaggi chiave sui quali investire per costruirsi un’immagine distintiva rispetto ai competitor», conclude l’interlocutore.

Tale lavoro è molto importante in una fase di incertezza economica come questa, in cui i clienti danno maggior valore alla propria spesa e in cui i retailer sono spesso costretti ad abbattere i costi, per salvaguardare i margini.

Ma quali costi? Secondo Bain tra le voci che costi non sono ma, anzi, buoni investimenti, spicca la formazione del personale, sommata a una politica di incentivo delle risorse umane, che non devono subire riduzioni di orario e, quindi, retributive.

Fondamentale è anche investire sul digitale e sull’automazione, per fare efficienza e sollevare gli addetti da compiti ripetitivi, compiti che assorbono ore preziose che si potrebbero, invece, dedicare ad assistere la clientela.