A dispetto della crisi dei consumi, il commercio estero italiano non cessa di crescere. Ma è una crescita sana?

Alla domanda risponde Ismea. In valore assoluto, secondo l’istituto, dopo il record registrato nel 2021, quando le esportazioni agroalimentari hanno oltrepassato i 52 miliardi di euro, l'andamento delle spedizioni oltre confine è risultato molto positivo anche nei primi sette mesi del 2022, mostrando una crescita del 17,6% su base annua e raggiungendo 34,5 miliardi di euro a luglio 2022.

La bilancia agroalimentare si inverte

Allo stesso tempo però, il forte incremento del valore delle importazioni agroalimentari (+29,2% per 34,9 miliardi di euro), sotto la spinta dei rincari delle commodity agricole, ha riportato la bilancia commerciale di settore in passivo, per 381 milioni di euro (il disavanzo era di +3,5 miliardi nel 2021).

Per entrambi i flussi di scambio, l'esito, che pare tanto positivo, è drogato dall’effetto prezzo, essendo i prodotti esportati e quelli importati cresciuti a tassi molto più consistenti in termini monetari, rispetto a quanto osservato per i volumi.

Il principale mercato di destinazione del made in Italy agrifood resta l’Ue che, con 16,9 miliardi di euro nel primo semestre 2022, assorbe circa il 57% delle esportazioni nazionali.

Per Pase Germania, Usa e Francia si configurano come i partner di maggior rilievo con tassi di variazioni elevati. Frenano, invece, Giappone e Cina.

Anche per l'import, l’Ue si conferma il maggiore partner dell'Italia con una quota, nel periodo in esame, del 69% in valore e con Francia, Spagna e Germania come principali fornitori. Le importazioni sono cresciute in maniera generalizzata per tutti i nostri grandi mercati di acquisto.

Sempre con i debiti distinguo, legati alla dinamica inflattiva, i dati inerenti all’export denotano una generalizzata performance positiva per tutti i comparti produttivi, con l’eccezione della frutta fresca e trasformata, in lieve cedimento.

I cereali, riso e derivati, hanno segnato una crescita tendenziale del 31,7% attestandosi a 3,6 miliardi di euro nel primo semestre dell'anno; i vini e mosti hanno raggiunto quasi 3,8 miliardi di euro (+13,5%).

Decisamente positive anche le vendite di latte e derivati che, con un tasso di crescita nel periodo del 21,9%, esprime un fatturato estero di 2,4 miliardi di euro.

Dal lato import il dettaglio dei best buy riguarda, in larga parte, materie prime non trasformate e semilavorati.

In particolare, il caffè non torrefatto, il mais, l'olio extravergine di oliva, i bovini vivi, il frumento tenero, la soia, l'olio greggio di girasole, l'olio di palma raffinato, sono stati i più acquistati, tutti in consistente aumento.

Le previsioni di Sace

Anche Sace, con il suo ‘Rapporto export’, che prende in esame tutti i prodotti e, quindi, non solo l’agroalimentare, punta il dito sul fenomeno dei rincari, che gonfiano le cifre.

In uno scenario sempre più complesso, scrive la finanziaria di Stato, legato alle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, l’export italiano avrà una doppia anima: si confermerà un traino prezioso per la nostra economia, ma sarà decisamente più costoso.

Quest’anno, infatti, le nostre esportazioni di beni cresceranno del 10,3% in valore: un aumento a doppia cifra spinto in larga parte dal fattore prezzo, più che dal volume, che esprimerà invece solo un +2,6 per cento.

Nel 2023 le tensioni sui costi dovrebbero, invece, ridursi e i trend legati a valori e volumi dell’export convergeranno con una crescita rispettivamente del 5 e del 4%, mentre il nostro export raggiungerà i 600 miliardi di euro, consentendo all’Italia, ottavo Paese esportatore nel mondo, di mantenere pressoché invariata la sua quota di mercato a livello globale, pari al 2,7 per cento.

Se nel 2022 è il “caro export” a spingere il valore del Made in Italy, nel 2023, in un contesto ancora incerto, sarà la capacità di resistenza delle aziende a dare impulso alle vendite oltreconfine.

In presenza di un conflitto Russo-Ucraino sempre più allarmante, Sace ha anche formulato scenari alternativi.

La peggiore delle ipotesi è l’intensificarsi del conflitto bellico, la cui probabilità di accadimento sta aumentando. La crescita economica globale risulterebbe più debole e sarebbe accompagnata da un’ulteriore impennata dell’inflazione.

In questo contesto, le nostre vendite estere crescerebbero quest’anno a un tasso del 9,1% (-1,2 punti rispetto allo scenario base) e registrerebbero un incremento solo di poco superiore allo zero in volume nel 2023.