È uscita da pochi giorni la nuova edizione del ‘Rapporto sul franchising’: condotto dall’ufficio studi di Assofranchising in collaborazione con l’Osservatorio permanente sul franchising, il documento - 24 pagine, liberamente scaricabili da qui - rivela che il settore continua a essere una grande opportunità per i nostri mercati, con un giro d’affari che si attesta a 23.929 milioni di euro (+2,7%) e una salita di addetti del 4% (fino a 200.000 persone). Non male, se si considera che a farla da padroni, come imprenditori affiliati, sono soprattutto i giovani tra i 25 e i 35 anni, con il 25,6 per cento.

Spiega Italo Bussoli, presidente di Assofranchising: “Il mercato del lavoro guarda sempre più a forme di autoimpiego, come è appunto il franchising, che offre possibilità in molteplici settori, a fronte di investimenti contenuti”. Oggi, continua Bussoli, l’affiliazione è ricercatissima, grazie al fatto che l’imprenditore stringe un accordo con un’azienda, il franchisor appunto, che ha già sperimentato il proprio modello d’affari con successo e che dispone perciò di adeguate competenze e strumenti utili per essere competitivo. Visto che il mondo è sempre più complesso - aumentano gli adempimenti fiscali e le merceologie sono ogni giorno più diversificate –, diventerebbe assai problematico fare business con le proprie forze e senza appoggiarsi a un partner robusto.

Il franchising ha poi una presa migliore sulle terze parti, come i proprietari di location commerciali, le banche, i fornitori. Stipulare accordi quadro vantaggiosi è, ovviamente, più semplice, grazie alle economie di scala sviluppate dall’affiliante.

Terzo punto a favore è la possibilità di intraprendere in maniera trasversale rispetto ai comparti merceologici e con un impiego di capitale che, come detto, può essere davvero limitato: il 31% dei franchisor richiede un canone iniziale compreso tra 20.000 e 50.000 euro.

Fra le categorie che muovono il mondo dell’affiliazione una nota particolare va alla ristorazione che arriva, sommando le varie formule, a quasi 2,5 miliardi di euro di ricavi (2 miliardi nel 2013), 36.000 addetti (compreso il franchisee) e 3.800 Pdv.

In netta crescita il mondo del benessere, salute, erboristerie, dietetica, che nel 2016 si impenna di 25 punti dal lato delle vendite al consumatore finale.

Infine si confermano in salita la Gdo food e i negozi alimentari. E in questa categoria non rientrano solo i grandi player, tra i quali svettano i discount, ma anche tutti i format che si stanno specializzando ora in cibi per celiaci, ora nel biologico, a volte nel tipico regionale, oppure nel pesce fresco o, ancora, nell’ortofrutta.

Alivello generale si osserva che aumentano i punti vendita in franchising (+1,1%), salgono in modo consistente (+3%) le reti italiane all’estero e si fortificano (+3,9%) gli occupati, per raggiungere una media di 2,9 unità per negozio.

Nel corso del 2016 le insegne operative nel nostro Paese (considerando le società con almeno 3 vetrine) hanno totalizzato la cifra di 950, con 67 nuovi ingressi, mentre i Pdv, sommando ogni tipologia, sono balzati a 50.720.

Dal punto di vista geografico, si legge nel rapporto, la Lombardia, con 8.237 negozi e 244 reti, ha consolidato ulteriormente la propria pole position. Il Lazio, dal canto suo, ha ribadito il ruolo di locomotiva delle regioni centrali, diventando la sede di 113 insegne, mentre la Campania e il Veneto hanno toccato un valore di poco inferiore ai 100 brand. Si registra anche un radicamento dell’affiliazione nel Sud e particolarmente in Puglia e Sicilia.

Se si guarda al fatturato a guidare la classifica è certamente l’alimentare (Gdo + normal trade) con un valore di 7,7 miliardi di euro e una quota del 32,2 per cento. Seguono, con molto distacco, la ristorazione rapida, le pizzerie e caffetterie (1,8 miliardi circa e 7,5%) e l’abbigliamento uomo e donna (1,7 miliardi e 7,2%). Erboristeria, dietetica e parafarceutica, nonostante il loro dinamismo, rimangono invece un business piccolo, pari a 270 milioni di euro, come resta contenuto il giro d’affari dei ristoranti a tema e pub, che si piazza poco sopra i 334 milioni.

I servizi non ristorativi, dal canto loro, sono pur sempre il comparto guida, ma se si sommano, tanto per citare poche voci, i ricavi delle agenzie di vario tipo, delle copisterie, dei punti di spedizione e gestione dei pacchi, si scopre che l’incidenza sul valore totale, pure in crescita, è del 54,2, una maggioranza ancora assoluta, ma esposta a una graduale erosione da parte di attività differenti.

Interessante, infine, quanto emerge grazie all’analisi delle dimensioni medie del negozio affiliato, che è sempre più esteso: “Esaminando i dati – scrivono gli autori del rapporto - si evince che il 54,5% dei franchisor (in diminuzione rispetto al 59% dell’anno precedente) richiede locali non grandi e con superfici comprese tra 21 e 80 metri quadrati. Gli immobili tra 100 e 200 mq registrano un’ulteriore riduzione, passando dal 14,8% del 2013 all’attuale 13,6, mentre i consensi verso le pezzature superiori ai 200 mq sono in controtendenza e salgono dal 12,1 al 21,1 per cento”.