di Luca Salomone

Mentre l’inflazione dilaga in tutto il mondo – solo nel nostro continente il dato Eurostat ha raggiunto, in ottobre, un cumulato del 10,7 per cento – quali provvedimenti adotta il consumatore?

Risponde alla domanda l’aggiornamento dell’analisi semestrale "Fmcg demand signals" di Iri, rapporto che include informazioni relative a oltre 230 categorie del largo consumo, per più di 2 mila segmenti merceologici che superano i 10 milioni di referenze negli Stati Uniti, in molti mercati europei - Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi - e nelle grandi economie dell’Asia-Pacifico.

Lo studio - basato sugli acquisti effettuati nei punti di vendita durante l'anno terminante a luglio 2022 e su una ricerca condotta presso i consumatori – evidenzia, come è logico, che il deterioramento del reddito sta affliggendo soprattutto le famiglie della classe sociale medio-bassa.

Come cambia la domanda

Le evidenze dell’Europa permettono di tracciare una mappa dei cambiamenti in atto. Intanto, mentre il 61% si dice preoccupato per l'impatto che questa crisi avrà sul proprio stile di vita, il 71% ha già apportato correzioni al modo in cui acquista e utilizza i prodotti di uso quotidiano.

Il 58%, poi, ha preso misure generali piuttosto drastiche - diminuendo gli spostamenti in macchina, saltando alcuni pasti e spegnendo il riscaldamento – e il 35% sta utilizzando i risparmi personali e chiedendo prestiti per pagare le bollette.

I consumatori si stanno progressivamente adattando, mentre la store loyalty cade: essi scelgono con cura dove acquistare cambiando i canali, frequentando una diversa insegna se i loro marchi/beni preferiti non sono disponibili (26%), non sono in promozione (34%) o se il negozio non ha una gamma di offerta sufficientemente ampia (41%).

Lo shopping viene pianificato meglio, per evitare costi inutili e mantenere un certo livello di qualità/prezzo. Anzi, secondo i dati Iri, il 22% è pronto a ridurre la frequenza di visita e il 21% a tagliare la somma di denaro di ogni spesa.

Il 58% confronta più spesso i prezzi di prodotti simili e il 49% valuta la quantità di prodotto che deve effettivamente utilizzare (come il detersivo per ogni lavaggio), per assicurarsi un impiego più razionale ed economico. “Questa tendenza però – si legge - non si riscontra in Italia dove il consumatore guarda al prezzo per confezione, indipendentemente da “sgrammature” (shrinkflation) e formulazioni”.

In tutto questo le etichette svolgono un ruolo ancora più importante: il 40% della clientela cerca prodotti in sconto, anche se in scadenza, e il 41% osserva bene le confezioni per avere ulteriori informazioni relative ai prodotti. Il 27%, poi, va a caccia di recensioni su quanto metterà nel carrello.

Le persone creano nuove occasioni, momenti e contesti d’uso: il 29% sta cambiando il luogo in cui consuma determinati prodotti, per esempio pranzando al sacco, invitando a casa gli amici per l’aperitivo, facendo la doccia in palestra, gustando il caffè tra le mura domestiche e imparando ad acconciarsi da sé i capelli. In certa misura si riscoprono abitudini del periodo dei lockdown.

Inoltre, poco più della metà degli intervistati pensa di ridurre la consegna a domicilio di generi alimentari (51%) e il 47% prevede di mangiare meno al ristorante, o al bar. Parallelamente il numero delle famiglie che intende cucinare da sé cibo fresco balza al 49 per cento e il 34% si orienta a preparare in casa i pasti da consumare fuori, per esempio in pausa pranzo.

Innovazione a basso prezzo

L’innovazione viene strumentalizzata: in generale, in molti Paesi, la scelta di un nuovo marchio diventa, più che altro, una questione di prezzo (62%), di disponibilità immediata (49%) e di offerta promozionale a scaffale (37%).

E se, a livello globale, la qualità interessa meno (lo afferma il 15 per cento dei soggetti) essa rimane, in fondo, basilare nel nostro Paese, dove, se mai, gli intervistati intendono concentrare gli acquisti nel segmento più alto del mainstream, e a diminuire la spesa per i generi premium.

Le scelte alimentari più sane e a base vegetale convincono ancora molti clienti (rispettivamente 24 e 22 per cento), ma l’adozione, da parte delle aziende, di un preciso codice di responsabilità ambientale e sociale non rappresenta più una discriminante, se non per un 10% dei soggetti.

Analizzando, infine, tutto il largo consumo confezionato si scopre che, nel 2022, il dato parziale è di una crescita dell'1,5%, con un aumento di 9 miliardi di euro in termini di spesa, incremento che nel 2021 aveva però raggiunto un 3 per cento.

Le categorie che spingono maggiormente sono i surgelati, i freschi, i prodotti a temperatura ambiente, le bevande e il cura persona, un’evoluzione parzialmente vanificata dal vistoso calo degli alcoli (- 5%) e dalla piccola contrazione del cura casa (-0,2%).