Primo Maggio Festa del Lavoro: ma con quali credenziali si presenta l’Italia a questa data e in che modo si appresta ad affrontare le prossime elezioni europee del 26 maggio? Ancora una volta senza le carte in regola, perché i target fissati da ‘Europa 2020’ su questo tema, non verranno rispettati, visto che prevedono il 75% di occupazione per i soggetti fra i 20 e i 64 anni, un obiettivo che, per il nostro Paese, è stato per giunta abbassato al 67 per cento.

Lo afferma una dettagliata ricerca condotta da Openpolis in collaborazione con Agi: “A un anno dal termine, stabilito quasi 10 anni fa, – si legge - la nazione è ancora distante dal proprio target ed è fra le ultime in Europa, insieme ad altri Stati del Sud”. Se nell’Ue il tasso medio di occupazione è del 72,2% e dunque di 2,8 punti sotto gli obiettivi, in Italia l’indicatore è pari al 62,3%: a parte la Grecia (57,8%) il nostro è il Paese dove si lavora di meno o, per meglio dire, dove le possibilità di trovare un’attività sono più basse. Basti dire che in Svezia gli occupati sono l’81,7 per cento, in Germania il 78,7, in Polonia il 70,9 in Romania il 68,8, tanto per citare a caso.

“E’ però interessante notare – scrive Openpolis -, che rispetto ai primi anni di crisi economica, ci sono stati dei miglioramenti nella situazione occupazionale italiana. Dall'inizio della recessione, nel 2008, il tasso di occupazione si è ridotto di anno in anno, fino a raggiungere, nel 2013, il livello più basso del decennio. Dall'anno successivo ha invece preso il via un aumento costante dell'occupazione, che nel 2018 è tornata al livello precrisi. Restano tuttavia ancora 4 punti di distanza, per raggiungere il target fissato per il 2020”.

È un obiettivo impossibile anche perché la ripresa è stata di qualità molto scarsa, evidenziando un forte incremento di coloro che hanno redditi inferiori, di ben 60 punti, rispetto alla media nazionale (circa 21.000 euro). “L'occupazione a rischio povertà – si legge nel rapporto - è cresciuta in tutti i Paesi considerati. Tra questi, l'Italia presenta la variazione più ampia del fenomeno, con un aumento dei lavoratori a rischio povertà di 3,2 punti percentuali dal 2008 al 2018”. In totale sono minacciati il 12,3% degli occupati, contro il 7,4 della Francia, e il 9% della Germania e del Regno Unito.

Il dato diventa ancora più impressionate se misurato a livello regionale: “Emerge un grave disparità tra le regioni del Nord, tutte al di sopra della media italiana del 63% e quelle del Sud, che presentano i livelli di occupazione più bassi del Paese. Ci sono 35 punti di differenza tra la percentuale di occupati di Bolzano e quella della Sicilia. Il lavoro divide l'Italia in due, tra il Nord, che sembra essere uscito dalla crisi economica, e il Sud, che continua a retrocedere”.

Non solo. Il nostro Paese si aggiudica uno dei più alti divari di genere: la differenza di occupazione fra uomini e donne è del 19,8%, altissimo se paragonato all’1% della Lituania, lo Stato meno sperequativo, ma anche in confronto, per esempio, alla Spagna (11,9%), alla Gran Bretagna (10,3), all’Austria (8%), alla Francia (7,8%).

Anche qui il Mezzogiorno è il più penalizzato: “Le regioni del Nord e Centro Italia presentano tassi di occupazione femminile al di sopra della media nazionale, che corrisponde al 53% nel 2018, mentre le regioni del Sud si posizionano tutte al lato opposto della classifica: 42 i punti percentuali di distanza tra Sicilia e Bolzano per occupazione femminile nel 2018”.

Ancora più preoccupante è il fatto che, in quanto a lavoro, l’Italia non è decisamente un Paese per giovani. Se è vero che la crisi del 2008 ha colpito in tutta Europa le nuove generazioni, è altrettanto vero, che, anche qui, la nostra Penisola è all’ultimo posto per divario tra lavoratori junior (20-29 anni) e senior (55-64). Così solo il 42,7% dei primi ha un lavoro, contro il 52,2% dei secondi, con uno stacco pari al -9,5%, una situazione anomala, visto che solo in altri 3 Stati – Svezia, Bulgaria e Danimarca – le persone mature sorpassano le nuove generazioni.

Non è finita, perché i cosiddetti neet (neither in employment nor in education) sono da noi ben più numerosi che altrove: “Nel 2018, costituivano il 23,4% della popolazione italiana compresa tra i 15 e i 29 anni. Osservando questo fenomeno a livello regionale, la presenza di giovani italiani che non studiano e non lavorano si diversifica per via di una grande disparità tra Nord e Sud. Tutte le regioni del Mezzogiorno hanno più del 26% della popolazione tra i 15-29 anni che non lavora e non studia, al di sopra della media italiana”, con un dato che si piazza oltre il 30% in Puglia, Calabria, Campania e Sicilia.

Scarica il rapporto Openpolis