Il furore di vivere degli italiani ha vinto su tutto. Sfuggiti a fatica al mulinello della crisi, adesso l’incertezza è lo stato d’animo con cui il 69% dei nostri connazionali guarda al futuro, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista.

Come siamo arrivati a questo punto? I cittadini – spiega il Censis nel suo 53° Rapporto annuale - avevano dovuto prima metabolizzare la smagliatura della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di autotutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni non più coperti come in passato.

Poi avevano dovuto fare i conti con la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche lo stress provocato dal rischio di un possibile declassamento. Anche perché la nuova occupazione è stata segnata da un andamento negativo di retribuzioni e redditi. Oggi il 69% è convinto che la mobilità sociale sia bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socioeconomica attuale e il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme la scivolata in basso.

Nell’eccezionale cambiamento epocale, condensato in pochissimi anni, il furore di vivere ha riportato la popolazione tenacemente ai propri stratagemmi individuali. Finché l’ansia è riuscita a trasformarsi in furore, e il furore di vivere non è scomparso dai loro volti, non c’è stato alcun crollo. Ma ora c’è un prezzo da pagare.

L’angoscia esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro, si manifesta con sintomi evidenti in una sorta di sindrome da stress post-traumatico. Nel corso dell’anno il 74% si è sentito molto allarmato da questioni familiari, per il lavoro, o senza un motivo preciso.

Del resto, nel giro di tre anni (2015-2018) il consumo di ansiolitici e sedativi (misurato in dosi giornaliere per 1.000 abitanti) è aumentato del 23% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800.000 di più di tre anni fa). Disillusione, stress esistenziale e ansia originano un virus che si annida nelle pieghe della società: la sfiducia. Il 75% degli italiani non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso dell’anno una prepotenza in un luogo pubblico (insulti, spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.

L’altro prezzo da pagare è condensato nelle crescenti pulsioni antidemocratiche o da tentazioni nichiliste. Oggi solo il 19% dei cittadini parla frequentemente di politica quando si incontra e il 76% non ha fiducia nei partiti (la percentuale sale all’81% fra gli operai e all’89% tra i disoccupati).

E intanto l’umore peggiora. Se il 44,8% prevede un futuro sereno per la propria famiglia, la percentuale scende al 21,5% con riferimento al destino del Paese.
Paura, inquietudine, preoccupazione si applicano dunque soprattutto alla nazione e ai suoi scenari evolutivi, in realtà molto più che alla famiglia. Le ricette suggerite per fronteggiare la situazione sono: favorire gli investimenti privati con incentivi e sgravi fiscali per le imprese (64,9%), ridurre gli impedimenti burocratici (17,2%), potenziare gli investimenti pubblici (17,9%).

Meno problematica, almeno per il largo consumo confezionato, la previsione 2019 di Nielsen. Il trend delle vendite chiuderà l’anno con +1,4% rispetto al 2018. A fronte di un dato progressivo che a ottobre si è attestato al +1,6% il pronostico rimane in positivo, nonostante un possibile rallentamento delle vendite nelle ultime settimane del 2019.

Nello specifico, i reparti food & beverage e pet, a quota +2% nel dato progressivo di ottobre 2019 toccheranno, nei dodici mesi, il +1,8%, mentre i reparti del cura casa, del cura persona e del non food, in calo dello 0,2% a ottobre, chiuderanno a -0,3 per cento.

“I dati di ottobre sono in linea con il mercato Fmcg nell’Eurozona e siamo fiduciosi che questo porterà a una moderata, ma continua crescita nel 2020 – dice Romolo de Camillis, retailer services director di Nielsen Italia –. Nell’ultimo anno, però, all’interno del mercato italiano sono emerse spiccate differenze geografiche: la Gdo, nelle regioni del Sud, è in crescita da gennaio, contrariamente ai trend negativi del 2018. A questo ha contribuito principalmente la trasformazione dei format distributivi, unita a una contrazione del dettaglio tradizionale nelle regioni Meridionali e a un parziale contributo del reddito di cittadinanza”.

Se in Italia nel 2018 la crescita della Gdo è stata trainata principalmente dalle insegne discount, il 2019 ha visto aggiungersi tra i marchi più performanti anche molte catene di supermercati.

Per il canale discount si confermano andamenti molto positivi dei reparti dedicati ai prodotti freschi, altro sintomo di profonda trasformazione dei negozi. L’offerta discount, nata con un focus sui prodotti confezionati, si sta progressivamente affermando su alimenti a elevata frequenza d’acquisto e oggi il fresco rappresenta l’88% della crescita del canale.

Tra le azioni di contrasto dei supermercati si evidenzia il ritorno dei prodotti a marchio proprio di “primo prezzo”: nel dato progressivo a ottobre 2019 questo segmento cresce del 20,5%, invertendo la tendenza negativa osservata nel corso del 2018.