Agnello sì o agnello no? La domanda non è solo un interrogativo pasquale ma ritorna, ceteris paribus, in altri periodi dell’anno, per altri cibi - dall’aragosta al foie gras - e per alcuni manufatti non alimentari. Basterebbe ricordare, se ce ne fosse bisogno, come nei giorni scorsi abbia tenuto banco, specie sulla stampa del settore moda, la decisione di Giorgio Armani di escludere le pellicce dalle proprie collezioni.

È ormai normale, e anche onorevole, che la società si interroghi e si turbi quando ravvisa comportamenti che implicano la morte o la sofferenza degli animali. Ed è coerente che si agisca di conseguenza, specialmente quando l’embargo morale verso alcuni prodotti si somma ad altre tendenze, da tempo emergenti, come la ricerca di alimenti più salutari, o più rispettosi della linea e della forma fisica.

A questo punto si pone il problema – meno visibile, ma ugualmente grave - delle imprese, dei mestieri e dei posti lavoro, messi in pericolo quando un bene diventa impopolare, in tutto o in parte: è un fenomeno che implica forti sofferenze e che merita opportune risposte e soluzioni, se possibile rapide.

Rimanendo sui trend di mercato, una delle conseguenze più evidenti è l’emergere dei prodotti vegetariani, vegani e, per quanto riguarda la tutela del benessere, anche biologici. Non è un caso che a Cesena si svolga quest’anno, il 2 e 3 aprile, la prima edizione della nuova rassegna Wellness food festival. La manifestazione ha un focus espositivo che va dall’alimentare alla cosmesi naturale, dalla bioedlizia all’erboristeria, dalla meditazione, alle tecnologie ecocompatibili.

“Stando ai dati sembra proprio che il futuro sia bio e veg – riferisce Cesena Fiera -. Non si registrano al momento battute d’arresto per un fenomeno che è destinato a crescere, così come sono destinate a crescere le manifestazioni dedicate a questi nuovi stili di vita. I dati parlano chiaro: i vegetariani e i vegani nel mondo sono almeno 1 miliardo e stanno aumentando in molti Paesi”.

Anche l’Italia si difende bene nell’ambito bio e veg. Nel nostro Paese, continua Cesena Fiera, il valore del mercato interno del bio, quello più vasto e affermato e che non implica la rinuncia alle carni, alle uova e ad altri beni di origine animale, è pari a 2,7 miliardi di euro (dati AssoBio, Ismea, e Nielsen), a cui aggiungere 1,4 miliardi di export (dato Nomisma).

Le categorie più consumate sono i derivati dei cereali (23% del totale), la frutta e verdura, fresche e trasformate (più del 17% in entrambi i casi) e i lattiero-caseari (11,5%). Queste, nel loro insieme, rappresentano circa il 70% delle vendite bio complessive nella grande distribuzione organizzata che, negli ultimi due anni, ha visto crescere il fatturato relativo ai biologici, con un considerevole incremento nelle categorie dei derivati dei cereali (+19 e +26%, rispettivamente) e di ortaggi freschi e trasformati (+14 e +20%).

Secondo Eurispes nel 2015 l’8% degli italiani ha dichiarato di seguire un regime alimentare privo di carne o derivati animali, facendo registrare un +2% rispetto al 2013. Conferme di questo movimento, ormai inarrestabile, vengono dall’ultimo ‘Rapporto Coop. Consumi e distribuzione’. “In Italia – si legge nel documento - una persona su 10 è vegetariana (ovvero non mangia carne o pesce), mentre una su 50 è vegana (vale a dire rifiuta tutti i cibi di origine animale, compresi i loro derivati). Siamo i primi in Europa in questa particolare classifica (dopo di noi la Germania dove l'8% della popolazione è vegetariano), seppure lontani da quanto si registra nei Paesi in cui il cibo ha una forte caratterizzazione religiosa: in India, per esempio, più di un individuo su 3 non mangia carne”.