Nessuna novità per i centri commerciali e outlet, come del resto era scontato, anche nel cosiddetto ‘Decreto Natale’, illustrato in conferenza stampa, il 18 dicembre, dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il settore rimane, insieme alla ristorazione, fra quelli maggiormente intaccati dalle norme anti Covid.

Le misure del danno si leggono nel ricorso presentato, il 17 dicembre, al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dal Consiglio nazionale dei centri commerciali, unitamente a Confimprese, Aires (retailer elettrodomestici) e ai rappresentanti di circa 200 shopping center.

Le imposizioni che, in tutti i giorni festivi e prefestivi, colpiscono e colpiranno, fino al 15 gennaio, data di scadenza del Dpcm 3 dicembre, i tenant di beni non indispensabili all’interno degli shopping center – praticamente tutti i negozi salvo supermercati e iper, farmacie e parafarmacie, tabaccherie e edicole, aperti per i pochissimi interessati a un centro ridotto al lumicino - stanno causando, nel mese corrente, una perdita del 75% rispetto allo stesso periodo del 2019. È un impatto violentissimo, che si somma a una situazione già fortemente compromessa e che si protrae ormai da 9 mesi.

E dire che in Francia i grandi complessi, riaperti il 28 novembre, hanno recuperato, oltre il 70% degli scontrini, un dato scaturito dal gioco opposto fra stagionalità natalizia, da un lato, e paura, dall'altro.

“Fra l’altro – ribadisce il Cncc - tali misure, come già segnalato da tempo, hanno significativamente contribuito a concentrare l’affollamento legato agli acquisti natalizi nei centri cittadini e ad appesantire ulteriormente la già difficile situazione dei trasporti pubblici”.

L’assenza di ristori significativi per un’effettiva compensazione delle chiusure imposte, sta gradualmente conducendo numerose attività in uno stato più che critico, da cui si teme che possa emergere, nei prossimi mesi, anche una crisi sociale, con la perdita di migliaia di posti di lavoro, tenuto conto che, su 36.000 negozi attivi nelle oltre 1.200 strutture rappresentate dal Cncc, 7.000 sono a gestione familiare.

Ultimo di molte azioni - ricorso alla giustizia amministrativa, campagne di comunicazione, audizione alla Camera dei deputati e altro -, il ricorso alla Presidenza della Repubblica si prefigge di sollecitare risposte e chiarimenti che al momento rimangono inevasi, sia sul versante delle chiusure, sia per quanto riguarda i ristori.

“Il Presidente della Repubblica – scrive il Cncc -, alla luce del suo ruolo e della sua sensibilità, si spera che possa essere portatore delle istanze drammatiche del settore. Grazie a questa iniziativa, che ha ottenuto anche l’appoggio di 6.000 tenant, il Cncc auspica che si possa aprire urgentemente un canale di dialogo atto a individuare soluzioni condivise per rivedere i provvedimenti adottati e consentire una ripresa adeguata del settore”, scongiurando quella che, altrimenti, sarà un’inevitabile, quanto assolutamente inedita, crisi economica e lavorativa.

Nel frattempo non è ancora chiaro se un piccolo premio di consolazione, per i centri e outlet, verrà almeno dai saldi invernali. Ma non pare: se l'Emilia Romagna li ha posticipati al 30 gennaio, dunque due settimane dopo la scadenza del Dpcm ora in vigore, molte altre Regioni - come spiega Confcommercio - li hanno collocati fra il 2 e il 5 gennaio, dunque con la prima decade in zona decreto. Fra queste Sicilia, Campania e Valle d'Aosta, per il primo 'scaglione' e Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Puglia, Abruzzo, Umbria, per il secondo. Sardegna, Basilicata e Calabria, dal canto loro, sono in attesa di delibere da parte degli enti locali.