di Claudia Scorza

Dunnhumby ha rilasciato la terza edizione del Retail Preference Index Italy, lo studio annuale che mira ad individuare le preferenze dei consumatori rispetto all’offerta alimentare del mercato italiano e i fattori che le determinano. L’edizione 2022 ha coinvolto 36 retailer italiani, con store fisici e online, e 4.500 consumatori intervistati, con l’obiettivo di fornire una risposta a una domanda fondamentale di ogni insegna del settore grocery: cosa fa preferire un’insegna piuttosto che un’altra?

In termini di performance dei retailer, la top five resta invariata rispetto allo studio del 2021: Esselunga si riconferma ancora una volta in cima alla classifica, aggiudicandosi il primo posto assoluto nel settore per la “connessione emotiva” e il secondo posto per l’“aspetto economico”. Conad e Coop, invece, si posizionano rispettivamente al secondo e dal terzo posto, seguite da Eurospin e Lidl.

Nello studio di quest’anno, i clienti italiani hanno individuato sette aspetti chiave, i cosiddetti “fattori della preferenza”, che orientano le loro decisioni di acquisto. Al primo posto troviamo la “marca del distributore”, un tema del tutto nuovo per l’edizione italiana. Il “prezzo percepito” si riconferma al secondo posto, mentre la “varietà prodotti” scende al terzo posto, perdendo due posizioni rispetto al 2021.

La crescente influenza dei fattori “marca del distributore” e “prezzo percepito” sulle prestazioni del retailer è chiaramente collegata alla situazione finanziaria in cui si trovano attualmente molti consumatori. Quasi 9 intervistati su 10 (88%) hanno affermato di aver riscontrato un aumento dei prezzi degli alimentari negli ultimi 12 mesi e, tra questi, la metà (49%) sostiene che i prezzi sono “molto più alti” rispetto allo scorso anno. Di media in Italia, l’inflazione percepita super di quasi 13 punti percentuali quella reale.

Questo sottolinea quanto sia importante che i retailer si concentrino sul “prezzo percepito” anziché solo sull’indice di prezzo. Emerge inoltre una distinzione: i clienti in cerca di valore aggiunto prediligono fare acquisti presso retailer più economici (37%), anziché acquistare marche a basso costo (18%). Invece di orientarsi verso prodotti meno costosi, tendono maggiormente a ricercare quei retailer che, a loro giudizio, applicano una politica generale di prezzi bassi. L’importanza di una marca privata forte e di una buona percezione del prezzo è destinata ad aumentare in vista della diminuzione del potere di acquisto.

La “connessione emotiva” di un retailer con i suoi clienti dipende da diversi parametri. L’anno scorso, al terzo posto in ordine di importanza c'era la “fiducia”, definita come la “capacità di realizzare iniziative utili per i clienti”. Nel 2022, la “fiducia” è all’ultimo posto, preceduta da “delusione in caso di chiusura” e “consigliabile”. Oggi, sembra che i consumatori instaurino maggiori connessioni con i retailer in grado di comprendere al meglio e soddisfare le loro esigenze, come dimostra l’importanza assunta dal parametro della disponibilità a raccomandare lo store rispetto a 12 mesi fa.

Per quanto riguarda la spesa online, nonostante l’“esperienza d’acquisto” rimanga al primo posto tra i fattori che condizionano le preferenze dei consumatori, l’“offerta online”, ancora al secondo posto, oggi è altrettanto determinante. Si tratta di un cambiamento importante rispetto allo studio del 2021, quando l’“offerta online” aveva un impatto molto meno significativo sulle scelte dei consumatori, sebbene non il più rilevante emerso dall’indagine. La “personalizzazione”, aspetto relativamente trascurabile l’anno scorso, balza al terzo posto nel 2022.

Dal punto di vista demografico, gli shopper online rientrano nella fascia più bassa di età (18-34) e in quelle più alte di reddito, spendono più della media in generi alimentari e, in generale, sono più soddisfatti delle esperienze di acquisto presso i retailer del settore grocery, le valutano con punteggi superiori rispetto a chi fa solo acquisti negli store fisici. Ma potrebbero essere potenzialmente più difficili da ingaggiare per i retailer: alla domanda sul numero di store frequentati su base mensile, le risposte di chi acquista solo in punti vendita fisici riferivano un totale di 4,7. Nel gruppo degli shopper online, il numero sale a 6,4.

Gli shopper omnicanale, che acquistano generi alimentari sia negli store online che fisici, rappresentano uno dei gruppi più interessanti dello studio ma, la maggior parte delle insegne oggetto del sondaggio ha una base di clientela omnicanale inferiore al 10%. Di conseguenza, nonostante la possibilità di fare shopping sia online sia nei punti vendita di uno stesso retailer, la scelta nella maggior parte dei casi non è univoca. Un confronto diretto della spesa presso i due principali retailer italiani suggerisce che quando gli store riescono a convincere i clienti a fare acquisti su base omnicanale, questi destineranno una quota maggiore del proprio budget mensile a questo retailer. In entrambi i casi, la “quota di portafoglio” per gli shopper omnicanale fidelizzati è superiore di circa 10 punti percentuali (30%) rispetto agli altri due gruppi.

Infine, gli shopper omnicanale mostrano tendenzialmente una “connessione emotiva” più forte con i retailer prescelti. Tenendo conto di questo aspetto e della maggiore disponibilità di spesa di questi clienti, i retailer si trovano di fronte a due chiari imperativi. In primo luogo, individuare gli shopper omnicanale esistenti e fare tutto il possibile affinché rimangano fedeli all’insegna. In secondo luogo, ricercare i clienti che sono fedeli all’insegna in un canale, ma acquistano presso altri brand nell’altro canale. Quanti più clienti si individueranno e quanto più si comprenderà che cosa impedisce loro di diventare clienti omnicanale fidelizzati, tanto maggiore potrà essere il ritorno in termini economici.