Complessivamente, la spesa in prodotti freschi rappresenta ancora una parte assai rilevante nella spesa delle famiglie italiane. Nel 2005, infatti, la spesa complessiva in ortofrutta, carne e pesce fresco per consumo domestico è ammontata a 25,52 miliardi di euro, con una spesa media familiare di 1.177 euro (calcolando anche le famiglie monocomponenti).

L'andamento non è molto positivo, a causa di vari fattori che hanno influenzato il mercato e intaccato la fiducia dei consumatori: l'aviaria e la tensione sui prezzi dell'ortofrutta, per esempio.

Di conseguenza, frutta, vedura e carne presentano un andamento negativo, perdendo nelle quantità commercializzate dai 2,9 punti percentuali della carne ai 4,1 della verdura. La frutta in giro d'affari mosso presenta il calo più pesante: -8,9%. Non è tutto negativo, comunque: singoli segmenti dei comparti possono presentare un andamento favorevole. Le verdure di quarta e quinta gamma, per esempio, registrano tassi di aumento a doppia cifra.

Solo il pesce prosegue in un trend che si sempre più consolidato nel corso dell'anno. L'incremento a volume è del 2,1%. Considerando poi che quello del pesce è l'unico mercato a non aver raggiunto una penetrazione del 100% delle famiglie italiane, ma solo l'80%, si può intravedere lo spazio per un'ulteriore crescita.

Per quanto riguarda i canali di distribuzione, il freschissimo è uno dei segmenti che vede ancora molto forte la presenza dei tradizionali e degli specializzati, che in alcuni casi offrono una concorrenza temibile per la gdo, specialmente nel caso del pesce.

Sebbene molto più lentamente che in altri settori, comunque, anche carne, pesce e ortfrutta registrano il processo di crescita della grande distribuzione a scapito dei tradizionali, con un andamento di 1-2 punti percentuali all'anno.

All'interno della manifestazione si è tenuto un convegno sul ruolo delle produzioni Igp nella gdo italiana, a cui è intervenuto anche il presidente di Fedagri-Confcooperative Paolo Bruni.

Bruni invita a valorizzare maggiormente l'ortofrutta Igp e a non assoggettarla alle prassi di mercato a cui sottostanno prodotti meno particolari.

“Mi riferisco - ha proseguito il presidente di Fedagri - all'aspetto dei prezzi, delle promozioni degli accordi e alla loro ricaduta sui produttori, che - a fronte di grandi sforzi e costi aggiuntivi - in alcuni casi non trovano riscontro nei risultati di vendita”.

Le produzioni certificate Dop e Igp meritano una particolare attenzione da parte delle catene di distribuzione in virtù degli elementi aggiuntivi che garantiscono, come la differenziazione sui mercati grazie alla qualità superiore legata a relativi marchi collettivi (distintività per la quale - secondo un recente studio - il 40% dei consumatori europei si dichiara disponibile a riconoscere un differenziale di prezzo dell'ordine del 10% circa rispetto a produzioni standardizzate).

Per non parlare della garanzia dell'origine geografica e territoriale, della certezza di modalità produttive tradizionali codificate nei disciplinari produttivi, di una certificazione di controllo garantita da organismi specializzati esterni alla filiera, in uno scenario crescente di attenzione alla sicurezza alimentare e alla qualità delle produzioni.

Stando a una recente indagine di Agroter, nel 2005 il valore complessivo per i 45 prodotti ortofrutticoli certificati è stato di circa 165 milioni di euro alla produzione e di 275 milioni di euro al consumo, per circa 190.000 tonnellate commercializzate.

Solo il 20% di questo prodotto ortofrutticolo viene esportato, equivalente all'1% dell'export complessivo dell'Italia e solo 8 prodotti hanno superato le 1.000 tonnellate. “L'obiettivo da raggiungere - spiega Bruni - è sicuramente quello di maggiori volumi di vendita, che attualmente restano molto al di sotto delle reali potenzialità stimate in 2 milioni di tonnellate”.