L’allarme da parte dei distributori, in verità, era già stato lanciato da tempo. Lo scorso novembre, in occasione della quinta edizione della Giornata ADM, lo scenario atteso per il settore del largo consumo era stato dipinto con chiarezza in tutta la sua gravità: forti tensioni sui prezzi a causa dei progressivi aumenti dei listini di molte materie prime, conseguenti richieste di adeguamento da parte dell’industria, difficoltà per i retailer a riversare sui clienti gli aumenti, ma anche impossibilità di farsene ulteriormente carico.

«Dopo quello del 2008, ci attende un altro tsunami dei prezzi – aveva ammonito in quell’occasione il presidente di Coop Italia Vincenzo Tassinari -. I distributori però non sono più in grado di assorbire il fenomeno. Questa volta a farsene carico dovrà essere anche l’industria». Concordi le posizioni espresse da altri rappresentanti delle principali insegne italiane presenti all’incontro. Le cose stanno più o meno andando proprio così. Grano, mais, soia, zucchero. Per non parlare del petrolio. Finita - o almeno in buona parte archiviata - la paura della grande crisi economica internazionale, i consumi hanno ripreso a correre. I prezzi di molte materie prime pure. E l’industria cerca di adeguarsi.

L’ultima richiesta, in ordine di tempo, giunge dai produttori del comparto lattiero-caseario. Pochi giorni fa Assolatte ha annunciato pubblicamente il più che probabile ritocco all’insù dei prezzi al dettaglio del latte. C’è chi stima un ulteriore 5-6%, dopo il 7-8% di aumento accettato dai distributori solo pochi mesi fa. «Dallo scorso autunno – si legge in una nota dell’associazione  - si assiste alla decisa crescita delle quotazioni di molte materie prime agricole e lattiere. Il prezzo del mais, componente importante dell'alimentazione degli animali da latte, è aumentato del 68%, quello della soia del 14%». Queste le giustificazioni addotte. Da gennaio dell’anno scorso, in effetti, il prezzo del latte alla stalla è cresciuto del 20%, così come a doppia cifra sono stati nello stesso periodo gli incrementi delle quotazioni all’ingrosso dei principali formaggi italiani: +27% per il Grana Padano e +31% per il Parmigiano Reggiano.

Il problema, come si diceva, è  di carattere più generale e riguarda numerose derrate alimentari. Le ragioni di questi aumenti sono da individuare in diversi fattori. La crisi economica ci ha messo del suo. Il calo degli investimenti ha sicuramente influito sulla produzione, con il risultato di una minore disponibilità di commodities. A peggiorare la situazione ci si sono messi in qualche caso anche avverse condizioni climatiche (siccità, alluvioni ecc.) e sfavorevoli cicli produttivi. Sulla lievitazioni dei prezzi di molte materie prime pesa tuttavia un ulteriore fattore, forse il più importante perché non di carattere congiunturale, ma strutturale. Si tratta dell’aumento dei consumi di questi stessi prodotti nei paesi di nuova industrializzazione, Cina in primis, ma anche Brasile e India. Una causa più complessa con cui tutti, produttori, distributori e consumatori, dovranno imparare a fare i conti.