Qualcosa non torna nella immediata e decisa contestazione di Centromarca della maxi-multa (81 milioni di euro) inflitta dall’Antitrust alle principali imprese del settore cosmetico, nonché alla stessa associazione delle aziende di marca, per «comportamenti restrittivi della concorrenza». L’accusa, ufficializzata qualche giorno fa, è nota. Quindici big del settore cosmetico si sarebbero accordati per coordinare gli aumenti dei prezzi di listino comunicati annualmente agli operatori della Gdo. Non solo. Centromarca avrebbe fornito in tal senso un concreto supporto organizzativo, logistico e informativo ai produttori di cosmetici, facilitando significativamente il coordinamento delle strategie commerciali tra questi.

Orbene, non abbiamo motivo di dubitare che i numeri immediatamente esibiti da Centromarca per contestare la fondatezza del provvedimento siano attendibili. «Nessun cartello. Faremo ricorso al Tar. I prezzi dei nostri associati sono sempre stati sotto l’inflazione e molto diversificati» - si sono affrettati a precisare da Via Serbelloni. E per dimostrarlo hanno prodotto dati e tabelle (elaborazioni di rilevamenti Istat, Nielsen e Symphony Iri) per evidenziare come la variazione dei prezzi del comparto cosmetico negli anni “incriminati” (2000-2007) sia sempre rimasta al di sotto dell’inflazione. Anzi, che per le industrie oggetto dell’indagine sia stata persino inferiore a quella media dell’intero settore.

Possiamo anche dare per buona un’argomentazione che ha il sapore di una disperata difesa, secondo cui il contestato scambio di informazioni sugli aumenti medi di listino «non è in grado di determinare l’allineamento dei prezzi al consumo, perché la competizione tra produttori si gioca sul prezzo effettivo di cessione», che come è noto è assai diverso da quello di listino e molto divaricato tra azienda e azienda. Ma come negare l’evidenza di un’autodenuncia e di un’ammissione di colpevolezza partite proprio da parte di alcune delle aziende associate?

L’istruttoria condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha trovato infatti – si legge in una nota dell’Antitrust - «numerosi riscontri a quanto dichiarato per prima da Henkel e successivamente da Colgate-Palmolive e Procter&Gamble». Aziende che, vale la pena ricordarlo, hanno chiesto l’ammissione al programma di clemenza, ottenendo uno “sconto di pena”. Che il potere contrattuale delle catene distributive abbia assunto negli anni un carattere sempre più dominante nei confronti delle aziende produttrici - in alcuni casi al limite della prepotenza e dell’arroganza - è cosa nota. Fatto che peraltro ha indotto lo stesso presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, ad avviare all’inizio del mese scorso un’indagine conoscitiva sul ruolo della Gdo nella filiera agroalimentare e sulle presunte implicanze sulle dinamiche competitive del settore. Uno “strapotere” che per certi versi è anche comprensibile che venga contrastato da pratiche lobbistiche quali quella additata dall’Antitrust. Comprensibile ma non lecito.