Consumi domestici e, soprattutto, extra-domestici. Se ne è parlato sabato a Rimini, nell’ambito di Sapore, la Mostra Internazionale dell'Alimentazione che si conclude oggi. L’occasione è stata la presentazione della ricerca "L'Europa al ristorante: consumi e imprese", realizzata dal Centro studi Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi).

L’elemento più significativo emerso dallo studio è che in Italia, a differenza di quanto è accaduto in altri paesi europei, il settore dei consumi fuori casa ha fatto la parte del leone in termini di crescita del comparto food, compensando in qualche modo la scarsa vitalità dei consumi alimentari domestici. Certo, l’indagine prende in considerazione un arco temporale compreso tra il 1999 e il 2009, mettendo il settore al riparo da confronti riguardanti il periodo immediatamente precedente la “grande crisi” che sarebbero probabilmente apparsi impietosi. Ma è comunque interessante analizzare qualche dato.

I consumi alimentari - si legge nello studio Fipe – erano e rimangono una voce di spesa di primaria importanza a livello europeo. Valgono infatti 882 miliardi di euro, pari al 13,1% della domanda complessiva. Soltanto per l'abitazione gli europei spendono di più. Se poi si include nella spesa alimentare anche la quota destinata ai consumi fuori casa (468 miliardi di euro) l'alimentare rappresenta un quinto del budget complessivo di spesa dei cittadini europei.

Nell’ultimo decennio – evidenzia l’indagine - i consumi alimentari sono aumentati in Europa di 58 miliardi di euro, 37 in casa e 21 fuori casa, con tassi di crescita identici (circa 5 punti e mezzo percentuali). La crescita è da attribuirsi per due terzi ai consumi alimentari in casa e per il restante terzo a quelli fuori casa. A livello di eurozona il contributo del consumo domestico è ancora più significativo, a indicare che nei paesi economicamente più forti si sta registrando un deciso rallentamento dei consumi in bar e ristoranti a vantaggio di quelli in casa.

C’è un’unica eccezione: l’Italia. Nel nostro paese infatti la crescita della domanda alimentare è da attribuirsi per la quasi totalità al fuori casa (98,2% contro 1,8%). In Europa, in particolare, per ogni euro speso in consumi alimentari domestici si spendono altri 53 centesimi fuori casa. In dieci anni questo rapporto è rimasto sostanzialmente immutato per effetto della contrazione registrata in gran parte dei paesi della vecchia Unione Europea e dell’incremento verificatosi in quelli dell’Europa allargata. In controtendenza appare proprio l’Italia, dove per ogni euro speso in consumi alimentari domestici il valore per quelli destinati al fuori casa è passato da 0,44 a 0,50 euro.

Orbene, al di là di altre possibili riflessioni e considerazioni su questo fenomeno, ve ne è una che a nostro avviso andrebbe fatta e che riguarda in modo diretto la distribuzione moderna. Si tratta della possibilità di abbinare al tradizionale commercio al dettaglio la somministrazione di cibi e bevande. Una formula già molto diffusa all’estero, sia a livello di grandi superfici che di convenience stores, ma che nel nostro paese stenta a decollare. Qualcosa si sta muovendo, specie in qualche avanguardia della distribuzione organizzata, ma è decisamente troppo poco. Varrebbe la pena di considerare questa opportunità in modo più concreto, superando le indubbie criticità burocratiche, organizzative e logistiche. Ma anche venendo incontro a una domanda che – come dimostra la ricerca di Fipe – c’è e continua a crescere e sfruttando così occasioni di business che è davvero da miopi lasciarsi sfuggire.