Alla fine, come spesso accade, si va tutti in ordine sparso. E sicuramente è meglio così. Le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia hanno innescato accese polemiche anche nel mondo del commercio. C’è chi si è sentito offeso dall’idea che le saracinesche dei negozi della grande distribuzione potessero restare alzate in occasione di una ricorrenza tanto importante, interpretando l’eventuale giornata lavorativa come una mancanza di rispetto nei confronti del nostro paese e un dispregio della coesione sociale.

Chi, invece, pur riconoscendo il valore dell’anniversario, ne ha fatto più pragmaticamente una questione di produttività, e si è espresso favorevolmente per tenere aperto il punto vendita. A fare da contorno alle opposte posizioni una selva normativa che, tra leggi regionali, programmazioni locali, divieti, deroghe ordinarie e straordinarie, dubbi, ordinanze e dietrofront, rende la questione di questa apertura, come di tutte le aperture festive e domenicali, un vero guazzabuglio.

La posizione di Distribuzione Moderna, a tale proposito, è da sempre molto chiara. Ci siamo sempre professati, infatti, e continuiamo a farlo, per la più ampia libertà di impresa nel commercio. Una libertà, sia ben chiaro, non assoluta e fuori controllo. Ma che permetta a chi desidera produrre di poterlo fare. Bene - a nostro avviso - ha fatto il neo presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli a stigmatizzare l’iniziativa sindacale “La festa non si vende”, promossa dalla Filcams-Cgil per manifestare il proprio dissenso all’apertura dei negozi in occasione del 17 marzo, bollandola come «lontana da un modello di servizio del commercio che vada incontro ai bisogni delle persone».

Un’iniziativa – ci permettiamo di aggiungere – lontana soprattutto dalla libertà di un’impresa privata di decidere come gestire la propria attività commerciale, sempre ovviamente nel rispetto dei diritti dei lavoratori. L’importanza della celebrazione del 17 marzo dovrebbe essere chiara a tutti gli italiani e tutti dovremmo orgogliosamente festeggiarla. Ma perché negare il diritto, a chi lo desidera, di farlo in modo produttivo?