«Nelle principali catene della distribuzione moderna, e nelle categorie dove la marca privata è presente, la quota a valore è prossima al 20-22%, mentre a volume la percentuale supera ampiamente il 25%. Ciò significa che su quattro prodotti venduti uno è “firmato” direttamente dal distributore». Questa dichiarazione di Guido Cristini, ordinario di marketing presso l’Università degli Studi di Parma, rilasciata in occasione della presentazione del sesto rapporto annuale sull’evoluzione della marca commerciale in Italia, fotografa in modo eloquente il crescente successo delle private label nel nostro paese. Non che questo rappresenti una grande sorpresa. Il momento d’oro dei prodotti a marchio d’insegna non è certo una novità (si veda l’articolo di DM, L’anno delle private label , del 17 gennaio). I numeri presentati a Marca, però, ne costituiscono un’ulteriore conferma.

Lo studio, realizzato in collaborazione con la società di ricerche Iri Infoscan, evidenzia come le marche private, anche nel 2009, abbiano rafforzato la loro posizione. In valore, la crescita è stata del 10,4%. A volume dell’8%. Un variazione tanto più significativa se si raffronta con quella delle grandi marche, le quali hanno contenuto l’aumento del fatturato al 2,4%, mentre in termini quantitativi non hanno mostrato alcuna variazione.

Negli ultimi cinque anni, così, i prodotti a marchio del distributore (al netto di quelli a peso variabile) sono passati da una quota complessiva a valore dell’11,8% al 13,6% (14,6% quella a volume) per un totale di oltre 8 miliardi di euro considerati i vari canali. Le marche industriali hanno invece visto una progressiva erosione del loro peso, passando da una share del giro d’affari dell’88,2% all’86,4%.

Che la presenza dei prodotti a marchio sugli scaffali sia ormai molto ampia è del resto testimoniato dalle cifre. In totale, le referenze presenti nell’assortimento delle varie insegne italiane ammontano a oltre 10.000. Nel format supermercato, in media, se ne contano 920 (+10% rispetto all’anno precedente), mentre nell’iper raggiungono le 1.660 unità (+9% sul 2008). Freddo (21,9%) fresco (17,5%) e cura casa (17,5%) risultano i reparti maggiormente penetrati dal prodotto a marchio. Ma l’offerta dei distributori non sta migliorando solo dal punto di vista quantitativo. Cresce in generale anche la qualità della proposta: a livello di prodotto, di segmentazione dei marchi, di packaging, di pubblicità ecc.

Giampaolo Fabris, docente di sociologia allo Iulm di Milano, commentando, sempre a Marca, i risultati della prima indagine nazionale sul comportamento dei consumatori nei confronti delle private label, ha ammesso che «l’atteggiamento non è più quello di alcuni anni fa. Le marche commerciali non sono più viste come marche economiche ma di serie B. Nella fascia premium vengono persino percepite come superiori a quelle industriali». Non è un caso che lo scorso anno l’offerta premium delle varie catene abbia registrato un incremento delle vendite a valore del 29,9% (addirittura del 45,1% in quantità). Se è vero – sostiene lo studio di Fabris - che solo poco meno di un terzo dei consumatori acquista regolarmente e apprezza le private label, è altrettanto vero che vi è un ulteriore 25% circa di consumatori che potrebbe facilmente diventarne acquirente abituale.

Molto dipenderà quindi da come i vari retailer sapranno giocare le proprie carte. Per Cristini, quelle più avvantaggiate sotto questo profilo saranno le catene che sono riuscite a consolidare una forte identità di insegna, una strategia multibranding (marche premium, categorie di prodotto innovative ecc.), a instaurare rapporti di partnership con i migliori copacker (a livello di ricerca e sviluppo, logistica, packaging, controllo di qualità) e infine a dedicare una forte attenzione a politiche di packaging capaci di accrescere il valore e la funzionalità del prodotto per il consumatore (materiali, design, funzionalità, informazione, facilità di utilizzo). C’è infatti da scommetterci – secondo Cristini - che il futuro delle marche commerciali sarà sempre più orientato ad assumere i valori propri di quelle industriali. Raggiunta la pari dignità sul piano qualitativo e degli aspetti razionali, ora la sfida con l’industria di marca si giocherà sul fronte dei valori intangibili e delle caratteristiche emozionali.