Lo studio, realizzato in collaborazione con la società di ricerche Iri Infoscan, evidenzia come le marche private, anche nel 2009, abbiano rafforzato la loro posizione. In valore, la crescita è stata del 10,4%. A volume dell’8%. Un variazione tanto più significativa se si raffronta con quella delle grandi marche, le quali hanno contenuto l’aumento del fatturato al 2,4%, mentre in termini quantitativi non hanno mostrato alcuna variazione.
Negli ultimi cinque anni, così, i prodotti a marchio del distributore (al netto di quelli a peso variabile) sono passati da una quota complessiva a valore dell’11,8% al 13,6% (14,6% quella a volume) per un totale di oltre 8 miliardi di euro considerati i vari canali. Le marche industriali hanno invece visto una progressiva erosione del loro peso, passando da una share del giro d’affari dell’88,2% all’86,4%.
Che la presenza dei prodotti a marchio sugli scaffali sia ormai molto ampia è del resto testimoniato dalle cifre. In totale, le referenze presenti nell’assortimento delle varie insegne italiane ammontano a oltre 10.000. Nel format supermercato, in media, se ne contano 920 (+10% rispetto all’anno precedente), mentre nell’iper raggiungono le 1.660 unità (+9% sul 2008). Freddo (21,9%) fresco (17,5%) e cura casa (17,5%) risultano i reparti maggiormente penetrati dal prodotto a marchio. Ma l’offerta dei distributori non sta migliorando solo dal punto di vista quantitativo. Cresce in generale anche la qualità della proposta: a livello di prodotto, di segmentazione dei marchi, di packaging, di pubblicità ecc.
Giampaolo Fabris, docente di sociologia allo Iulm di Milano, commentando, sempre a Marca, i risultati della prima indagine nazionale sul comportamento dei consumatori nei confronti delle private label, ha ammesso che «l’atteggiamento non è più quello di alcuni anni fa. Le marche commerciali non sono più viste come marche economiche ma di serie B. Nella fascia premium vengono persino percepite come superiori a quelle industriali». Non è un caso che lo scorso anno l’offerta premium delle varie catene abbia registrato un incremento delle vendite a valore del 29,9% (addirittura del 45,1% in quantità). Se è vero – sostiene lo studio di Fabris - che solo poco meno di un terzo dei consumatori acquista regolarmente e apprezza le private label, è altrettanto vero che vi è un ulteriore 25% circa di consumatori che potrebbe facilmente diventarne acquirente abituale.
Molto dipenderà quindi da come i vari retailer sapranno giocare le proprie carte. Per Cristini, quelle più avvantaggiate sotto questo profilo saranno le catene che sono riuscite a consolidare una forte identità di insegna, una strategia multibranding (marche premium, categorie di prodotto innovative ecc.), a instaurare rapporti di partnership con i migliori copacker (a livello di ricerca e sviluppo, logistica, packaging, controllo di qualità) e infine a dedicare una forte attenzione a politiche di packaging capaci di accrescere il valore e la funzionalità del prodotto per il consumatore (materiali, design, funzionalità, informazione, facilità di utilizzo). C’è infatti da scommetterci – secondo Cristini - che il futuro delle marche commerciali sarà sempre più orientato ad assumere i valori propri di quelle industriali. Raggiunta la pari dignità sul piano qualitativo e degli aspetti razionali, ora la sfida con l’industria di marca si giocherà sul fronte dei valori intangibili e delle caratteristiche emozionali.