Presentato a Milano il consueto “Rapporto Coop 2011 – Consumi e distribuzione”. Come hanno sottolineato Enrico Migliavacca, vicepresidente, e Vincenzo Tassinari, presidente del consiglio di gestione, il quadro che sembrava grigio gli scorsi anni si sta addirittura tingendo di nero. “Nella nostra Italia – ha detto Migliavacca – è veramente difficile trovare segnali di crescita. Anzi ci piazziamo nel non invidiabile gruppo dei più colpiti.

Quindi un Paese senza fiducia, dove l’accelerazione dell’inflazione, la debolezza del mercato del lavoro, la manovra depressiva per consolidare la finanza pubblica, hanno fatto piazza pulita dei deboli segnali di recupero captati a inizio 2011. Il reddito a disposizione delle famiglie è tornato indietro di un decennio: circa l’80% dei nuclei è convinto di vivere al disotto e sul limite di uno standard appena accettabile (a fronte del 44% della Germania e del 54% della Francia). Si attinge sempre più ai propri risparmi per finanziare il consumo corrente, benché la spesa rimanga ancora ampiamente inferiore ai livelli pre-crisi.

Negli ultimi dieci anni il potere di acquisto delle famiglie è calato del 7%, ma gli effetti della Manovra, in particolare il ricorso all’aumento dell’Iva peserà in maniera ben più considerevole. Ogni punto di Iva in più incide per 7 miliardi di minori consumi. E per giunta il rincaro dell’aliquota va a intaccare settori già fortemente penalizzati, come abbigliamento, bazar, multimediale. La domanda è il volano della ripresa e ogni spinta negativa è disastrosa. Il rischio è di portare la spesa dei nostri connazionali a livelli ancora più bassi dei minimi toccati nel 2009.

In questo scenario in cui è difficile vedere segnali di ottimismo che ruolo svolge la gdo? Vincenzo Tasssinari ci spiega “che i distributori hanno giocato senz’altro dalla parte del consumatore, esercitando un effetto di calmiere sui prezzi anche a detrimento dei propri margini. Fatto salvo il dovere del Governo di mettere un riparo ai conti pubblici, non si può non considerare che questa manovra genera inflazione. Dunque, per fare muro, al mondo del largo consumo non rimane altro che stipulare accordi di filiera tra produzione e commercio, per contenere l’effetto di rimbalzo sui prezzi. Devo però dire che in questo l’industria nell’ultimo anno non ci ha aiutato, dimostrandosi poco sensibile alle dinamiche congiunturali. Speriamo che qualcosa si muova nel futuro. Del resto come Coop non vogliamo arrenderci e abbiamo pianificato lo stesso un piano di investimenti da 500 milioni di euro per 55 nuovi punti di vendita”.

Torniamo al rapporto. Epicentro della crisi è il Mezzogiorno dove si allarga la forbice della disuguaglianza rispetto al resto d’Italia. Drammatico pure il quadro della condizione giovanile: nel nostro Paese solo un giovane su due crede ancora nel valore dell’istruzione e della formazione professionale. I nostri ragazzi non risultano nemmeno allettati dall’imprenditorialità. Quelli che sono sedotti dalla prospettiva di un lavoro in proprio sono appena il 27%, a fronte di una media continentale del 43%.

Per trovare il punto di equilibrio le famiglie italiane sacrificano i consumi non-food (auto, arredo casa, multimedia, elettrodomestici e abbigliamento), ma tagliano anche gli alimentari e modificano il carrello dove tornano a crescere i prodotti di base (olio d’oliva, latte Uht, tonno in scatola). Crescono invece le richieste di prodotti etnici e di alimenti pronti ad alto contenuto di servizio, ma perdono forza le spese per farmaci e beni di lusso.

Oggi i clienti sono più che mai abili, cercano promozioni, prediligono il supermercato ma “fiutano” nuovi formati  di spesa come il discount, un canale decisamente in crescita dal punto di vista delle vendite. Si preferiscono anche i consumi in casa, diversamente da quelli fuori casa. C’è una rinnovata attenzione agli sprechi, ad acquistare confezioni più piccole, a riempire meno il frigo di prodotti freschi come carne, pesce e verdure.

Insomma una situazione, per dirla con il Rapporto Coop, in cui trionfa il fenomeno del “downgrading” in cui le famiglie, al bisogno, si dimostrano maestre. Ma se il gioco può riuscire nei beni di consumo liberalizzati, si rivela un’arma spuntata in quei settori obbligati (tariffe e servizi pubblici) il cui peso non è comprimibile.