di Luca Salomone

L’industria di marca di fronte alla sfida della sostenibilità, una sfida non rimandabile visto che, dal 2024, l’Unione europea ha reso obbligatori i bilanci di sostenibilità per le imprese, obbligo che sarà esteso, dall’inizio del 2026, anche alle realtà con almeno 50 milioni di fatturato.

Il tema del rapporto tra Idm e rendicontazione socio-ambientale è stato affrontato da Centromarca, nell’ambito del Salone della Csr e dell’innovazione sociale, che si è svolto a Milano, presso l’Università Bocconi, dall’1 al 6 ottobre.

Migliaia di pagine sotto la lente

Alla base un rapporto svolto in collaborazione con il Dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli Studi Roma Tre e che ha preso in esame 9.500 pagine di documenti pubblici, bilanci di sostenibilità e oltre 30 mila dati inerenti a industrie, alimentari e non.

Tira le fila del lavoro, intitolato Azioni e impegni per lo sviluppo sostenibile dell’industria di marca in Italia, Vittorio Cino, direttore generale dell’associazione: «Dall’analisi emerge un rafforzamento dell’impegno del sistema marca pressocché in tutte le aree della performance sostenibile. Le nostre industrie stanno affrontando una sfida complessa, con forti investimenti, comunicando con gli stakeholder e consapevoli degli obblighi derivanti da una normativa che in prospettiva sarà sempre più rigorosa. Soprattutto sono consapevoli dell’importanza di un approccio di filiera alla sostenibilità, che coinvolga tutti gli attori. In Centromarca lo consideriamo indispensabile per incidere realmente negli ambiti ambientale, sociale ed economico. Per questo abbiamo stilato un piano di attività in cui coinvolgeremo gli stakeholder: dai partner commerciali alle associazioni del consumerismo-ambientalismo».

Una breve nota metodologica: l’analisi ha utilizzato lo standard Gri (Global reporting initiative), il quale ha permesso una valutazione oggettiva delle evidenze.

Risulta, intanto, che su 188 industrie aderenti a Centromarca, 162 (l’86%) comunicano all’opinione pubblica azioni e obiettivi futuri nel campo della sostenibilità. Il valore, in crescita, è particolarmente positivo, se si considera che, nel 2020, questo gruppo era pari al 74 per cento.

Altro elemento d’interesse è l’incremento delle Idm che redigono un report di sostenibilità, passate dal 34% al 39 per cento.

Lo strumento d’elezione per informare è il sito istituzionale (86% dei casi) e quattro industrie su cinque hanno una sezione di approfondimento online.

Il confronto con le medie Istat

Una conferma dell’attenzione delle marche per uno sviluppo green e in chiave di responsabilità sociale si evince dal confronto con l’indagine Istat Pratiche sostenibili delle imprese, realizzata quest’anno su un panel di circa 4 mila realtà industriali e dei servizi che hanno risposto a un questionario anonimo.

All’86% di Idm che comunicano iniziative e impegni attraverso dati ufficiali pubblici si contrappone, infatti, il 60% del dato nazionale, decisamente più contenuto.

In dettaglio: il 78% delle Idm è impegnato in campo ambientale, rispetto al 50% riscontrato a livello nazionale; nel sociale la quota è del 68% in confronto al 45%; sul versante economico il rapporto è del 39% contro una media del 37 per cento.

Quali sono i nuclei di maggiore interesse? L’industria di marca sta concentrando i propri sforzi e interventi sul contrasto del cambiamento climatico e sull’uso responsabile delle risorse.

Al primo posto, fra le attività comunicate, troviamo le azioni dirette ad abbattere, o contenere, le emissioni (il 67% delle aziende le rendiconta), seguite dai programmi per limitare e razionalizzare i consumi energetici (61%), ma anche per un uso responsabile delle materie prime (57%), per ottimizzazione i consumi idrici (56%) e gestire i rifiuti (56%).

In ambito sociale, sempre in base alle dichiarazioni delle Idm che documentano pubblicamente la loro attività, spiccano le garanzie sulle pari opportunità di genere e la valorizzazione delle diversità (60%).

Oggetto di particolare attenzione sono poi la diffusione delle informazioni sui risultati economici (36 per cento), le attività anticorruzione (28%) e le buone pratiche di approvvigionamento (19%). Queste ultime, insieme all’andamento economico, sono indicate come fronti di ulteriore intervento a breve e medio termine.

«La moderna industria di marca è sempre più oggetto di valutazione da parte degli stakeholder: media, consumatori, partner commerciali, ecologisti, mondo politico e via dicendo - rileva Carlo Alberto Pratesi, professore di Economia e gestione delle imprese all’Università Roma Tre che ha curato l’indagine, insieme a Giovanni Mattia, professore di Ricerche di marketing presso lo stesso ateneo -. È bene ribadire che, su molti fronti, in particolare quello della sostenibilità ambientale, il sistema marca precede, anche in termini di consistenti investimenti per l’innovazione, il resto del sistema industriale italiano».