E la montagna partorì un topolino. Dopo tanto strombazzare la riforma della vendita fuori dal canale farmaceutico dei prodotti di fascia C, il delisting attuato nella pratica – ossia l’abolizione dell’obbligo di ricetta e dunque il via libera alla vendita nei corner della gdo e nelle parafarmacie - ha riguardato soltanto 230 confezioni per 136 medicinali. Si tratta, tanto per riassumere, come scrive lo stesso Ministero, di “prodotti di largo uso come antivirali per uso topico a base di aciclovir, antimicotici vaginali a base di econazolo, antimicotici locali a base di ciclopirox, prodotti per la circolazione, come i farmaci a base di diosmina, colliri antiallergici e antiinfiammatori per uso topico” (ovviamente si menzionano i principi attivi e non le marche).

Il punto è che questo paniere non rappresenta che una fetta minima del totale della stessa fascia C (il 4 o il 7% a seconda di come si fanno i conti), e che alla farmacia restano invece saldamente in mano ben 4.965 confezioni. Nella pratica il cosiddetto “fuori canale” acquisisce solo le briciole - ovvero 328 milioni di fatturato potenziale - potenziale in quanto comunque i farmacisti continueranno a operarvi come concorrenti - su un totale che vale ben 3,2 miliardi. Si potrebbe al massimo, nella migliore delle ipotesi, arrivare a circa mezzo miliardo, se verrà presa la decisione di liberalizzare altri 117 prodotti che al momento restano in forse. Il risparmio stimato per il consumatore è assolutamente ridicolo: 5 centesimi all’anno per ogni cittadino, come stima “Il Sole 24 0re”.

Una vera presa per i fondelli, che per giunta viene da un Esecutivo che in settimana ha ricevuto una serie di clamorose bocciature, non tanto dal semplice uomo della strada, che in fondo logicamente non vorrebbe mai pagare le tasse, ma da istituzioni il cui prestigio è assolutamente fuori discussione: citiamo soltanto la Corte dei Conti e Bankitalia, che hanno richiamato l’attenzione sull’effetto frisbee di livelli di imposta tanto elevati. Una conferma indiretta è venuta dall’Ocse che in un recentissimo rapporto ha fatto notare che il Bel Paese si piazza fra gli ultimi in quanto a retribuzioni medie: circa 19.000 euro netti annui, calcolati su nuclei di single (figuriamoci una famiglia numerosa). Questo perché noi italiani paghiamo il 47,6% di tasse, rispetto a una media Ocse del 35,2%.

Naturalmente la mezza riforma della fascia C, e chiamarla mezza è un complimento, è stata definita dall’Ordine dei farmacisti (precisamente dalla Fofi, federazione degli Ordini) un “delisting equilibrato”. Ci domandiamo, dopo questa vittoria, se cominceranno ulteriori pressioni per cancellare anche le 5.000 nuove farmacie programmate. E’ noto infatti che meno si è a divedere la torta, meglio è.

Forse il Ministero avrebbe le sue ragioni, ossia di non vendere nelle parafarmacie (3.800 nel Paese) e nei corner, prodotti che non vanno presi alla leggera, se nel fuori canale ci fossero dei semplici commessi: peccato che invece vi lavorino farmacisti laureati, i quali, pare di capire, sarebbero – chissà perché? – dei colleghi di serie B, rispetto a quelli che esercitano in farmacia. Intanto si segnala un recente ricorso al Tar lombardo, che però ha rimesso la questione in mano alla Corte di Giustizia europea la quale, purtroppo, ha i suoi tempi, non certo brevi.

Ad alzare la voce è stata Coop, che ha dichiarato: “Abbiamo a che fare con un decreto anti-liberalizzazione che mantiene lo status quo ad appannaggio delle farmacie ed è persino peggiorativo rispetto alla situazione precedente. Per i consumatori nessuna boccata d’ossigeno e nessuna diminuzione di prezzo dei farmaci, per non aver messo in campo i veri canali alternativi che sarebbero stati la distribuzione moderna e le parafarmacie. Così facendo si è gettata alle ortiche una liberalizzazione che solo nel settore farmaci (tra corner della Gdo e parafarmacie), così come era nella primaria intenzione del Governo, avrebbe potuto generare una diminuzione dei prezzi per un valore pari a 250 milioni complessivi a beneficio dei consumatori. E ci si è accontentati delle briciole. Sintetizzando  siamo uguali alla farmacia per ciò che attiene alla struttura dell’esercizio: lavorano da noi farmacisti laureati e abilitati alla professione (solo in Coop sono circa 300 e si tratta di nuova occupazione), ma non possiamo fornire lo stesso servizio e siamo confinati a somministrare farmaci da banco, farmaci veterinari e ora una esigua gamma di farmaci di fascia C. Il tutto oltre a essere paradossale, va esattamente in direzione contraria a quanto significa liberalizzare, ovvero aprire mercati chiusi generando vantaggi per i consumatori e maggiore efficienza per le imprese”.