A seguito delle recenti norme anti-concorrenziali stabilite da Pechino, le azioni dell’industria tecnologica cinese hanno subito un rapido crollo: Alibaba per esempio ha registrato quasi un -10%, mentre le rivali JD (-9,2%) e Tencent (- 7%) hanno fatto poco meglio. Un chiaro segnale del governo cinese, che ha messo nel mirino i colossi del web mandarino.

Alibaba (e-commerce), Meituan (consegne a domicilio) o Tencent (con l’app tuttofare WeChat) sono diventati troppo grandi e centrali nella vita di milioni di cinesi tanto da non poter lasciare indifferenti le autorità politiche. Il blocco delle quotazioni, dunque, va a rimarcare non solo il ruolo centrale del partito comunista nel Paese, ma anche le potenzialità della Cina nel fintech.

Per capire meglio come funziona questo sistema, Altavia ha approfondito il tema attraverso uno scambio di opinioni con Gianvito D’Onghia, managing partner di Creative Capital China (Gruppo Altavia). In Cina tutto passa dal digitale, o meglio da WeChat, l’app aggregatrice di retailer, brand e servizi, sia privati che pubblici, sia giga che micro. Un hub potenzialmente infinito da cui transita la maggior parte degli acquisti dei cinesi, senza dover mai uscire dalla piattaforma, così da poter “passare” da un negozio all’altro virtualmente.

La domanda che sorge spontanea è se la Cina sia il modello più adatto a cui aspirare. Da un certo punto di vista sì: la completa adozione del loro approccio phygital potrebbe essere un salto nel futuro. Un approccio come quello cinese, però, è possibile perché il Governo cinese agisce in regime di (semi) monopolio, compartecipando alle società che gestiscono i movimenti online dei propri cittadini.

Inoltre, tra gli spunti più interessanti del modello cinese troviamo sicuramente il cambio di ruolo dei centri commerciali, luoghi sempre più phygital ed esperienziali, e la “smartphonizzazione” della televendita, tramite le live streaming. Trend che si sono definitivamente imposti durante la prima ondata di Covid, ma che ai cinesi non erano sicuramente nuovi. D’altro canto, però, la Cina può sviluppare un’infrastruttura così integrata grazie all’assenza di limiti nell’accesso ai dati personali dei propri cittadini, avendo in questo modo uno spettro completo delle scelte d’acquisto dei consumatori.

Non resta dunque che osservare come si evolverà lo scenario, anche se alcune evidenze sono già tangibili. Per quanto risulti solo la 14esima economia più innovativa al mondo, la Cina sta posizionando le sue nuove carte in tavola. La prima: il più grande patto di libero scambio mai visto al mondo. Un patto che, escludendo gli Stati Uniti, coinvolge coincidenza vuole 14 Paesi, un’area in grado di produrre il 30% del Pil mondiale. La seconda carta, invece, consiste nell’accordo Cina-Ue per la protezione di cento prodotti tra specialità alimentari e bevande. Un trattato bilaterale definito “un importante esercizio di consolidamento della fiducia”, che segna così l’ambizione cinese di migliorare la protezione dei diritti sulla proprietà intellettuale.