di Emanuele Scarci

Neanche il tempo di chiudere la guerra del pane che Esselunga è coinvolta nella guerra delle zucchine. Un caso, per alcuni versi, simile al contenzioso sul pane chiuso ufficialmente dal Consiglio di Stato con la sentenza del 2 febbraio 2023, favorevole all'azienda.
Sul fronte societario, mercoledì scorso gli azionisti hanno approvato il bilancio 2022 e nominato il nuovo Cda. Confermato quello dell'esercizio precedente, con esclusione del vice presidente Carlo Salza, 63 anni, ex ceo per 11 anni di Esselunga. Nel 2019 venne sostituito da Sami Kahale, a sua volta uscito nel giugno del 2021. Marina Caprotti confermata presidente esecutivo.
Lo scorso novembre, l'Ispettorato repressione frodi di Firenze ha notificato ad Esselunga potenziali pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese della filiera agricola e alimentare (art. 4 del Dl 198/2021). La contestazione, in particolare, ha ad oggetto la “restituzione, da parte dell’acquirente al fornitore, di prodotti agricoli a alimentari rimasti invenduti, senza corrispondere alcun pagamento per tali prodotti invenduti o per il loro smaltimento”.

Lo scorso dicembre, Esselunga ha, a sua volta, contestato le prospettazioni dell’Autorità e ha presentato istanza di accesso agli atti del procedimento amministrativo. Il procedimento è ancora in fase istruttoria ed è probabile che per arrivare all’esito finale sia necessario attendere molti mesi.

Il precedente

Il contenzioso chiuso con l’Antitrust si riferiva invece a forniture di pane fresco il cui invenduto a fine giornata gravava sul produttore per il ritiro e lo smaltimento. L’Autorità sosteneva che il retailer avesse violato l’art. 62 del Dl 1/2012 (cessione di prodotti alimentari) sfruttando la propria posizione di forza commerciale. Quindi la presunta violazione nel caso delle forniture di prodotti agricoli è riferita a una legge diversa, ma il dato comune sarebbe la predominanza della forza contrattuale.
Dopo la pronuncia del Tar favorevole ad Esselunga, e il successivo ricorso dell’Antitrust, il Consiglio di Stato aveva concluso che le sanzioni dell’Autorithy si fondavano “su un quadro probatorio estremamente carente. E non si dimostrava l’esistenza di una deliberata strategia aziendale volta all’imposizione ai fornitori dell’obbligo di ritiro del pane invenduto”.