Il pane è il prodotto enogastronomico “simbolo” dell’Unità. Quasi un italiano su due lo ha eletto emblema nazionale del Belpaese a tavola: non solo perché rappresenta una delle componenti primarie della nostra alimentazione, ma anche perché nessun altro elemento è in grado di raccontare meglio l’evoluzione e i cambiamenti socio-economici che hanno caratterizzato i 150 anni della storia italiana.

Dalla “rivolta del pane” nel 1898 agli “anni del pane nero” durante la seconda guerra mondiale, dal “pane speciale” che secondo una legge del 1967 poteva essere fatto solo con pochi e determinati ingredienti al pane “liberalizzato” con il Dpr 502/1998 che eliminava qualsiasi restrizione sul processo di preparazione: sono soltanto alcuni degli esempi che spiegano la continuità storica del pane e chiariscono i motivi alla base della scelta compiuta da ben il 48 per cento della popolazione.

Certo, ogni regione ha il suo pane, le sue ricette, le sue tradizioni -spiega la Cia-. Basti pensare al “Cafone” in Campania, alla “Puccia” in Puglia, alla “Michetta” in Lombardia, alla “Ciriola” nel Lazio e alla “Crescia” nelle Marche. E poi c’è la “Carta musica” in Sardegna, la “Focaccia” in Liguria, la “Piadina” in Emilia Romagna, la “Vastedda” in Sicilia, i “Grissini” in Piemonte e la “Pitta” in Calabria. Ma nonostante queste differenze locali, è proprio il pane - per il suo consumo capillare e per la sua omogenea diffusione sull’intero territorio nazionale - a legare tutti gli italiani a tavola.