di Emanuele Scarci

No al paniere di prodotti a prezzi calmierati. L’industria del largo consumo chiude la porta (assumendosi anche il rischio politico) al ministro delle Imprese Adolfo Urso che aveva promosso l’idea del “paniere tricolore” Trimestre anti-inflazione, da realizzare da ottobre a dicembre.
Dopo essersi seduti al tavolo istituzionale con i distributori, i produttori hanno declinato l’invito a fare la loro parte nell’ipotizzato paniere a prezzi calmierati. Probabilmente, alla fine del confronto interno a Centromarca e Ibc, tra gli industriali è prevalsa la linea dell'intransigenza. Il ministero ha quindi optato per il piano B: questa mattina Urso e Federdistribuzione e Ancc-Coop s'impegneranno a trovare un accordo anti-inflazione entro il 10 settembre e avviarlo per il trimestre ottobre/dicembre..

Una posizione legittima quella delle associazioni Centromarca e Ibc, ma forse troppo rigida se si pensa che il paniere anti-inflazione proposto da Urso avrebbe avuto la durata di soli 90 giorni e che in Francia è stato già sperimentato da marzo a settembre. Secondo Federdistribuzione, "ancora una volta l’industria di trasformazione, sollevando argomentazioni pretestuose e strumentali, si dichiara indisponibile a sottoscrivere l’accordo. La distribuzione moderna, invece, conferma la volontà di continuare nella collaborazione con il Governo, per ricercare comunque possibili forme che consentano di contrastare l’inflazione, a tutela di famiglie e consumi”.

Nei fatti, la posizione dei produttori è identica a quella rappresentata dal presidente di Centromarca Francesco Mutti in un incontro con la stampa dello scorso 25 gennaio: chiuse la porta in faccia ai distributori che chiedevano un tavolo di moderazione dei prezzi. Mutti sostenne (servendosi di un report commissionato a Prometeia) che i costi delle materie prime, del packaging e dell’energia non consentivano di tenere in pancia neanche una parte degli aumenti dei costi, pena l’uscita dal mercato (anche internazionale) delle imprese italiane.
Peraltro Mutti sottolineò che “Centromarca non può assumersi legalmente nessun ruolo di regia dei prezzi: l’Antitrust annullerebbe l’intesa e la sanzionerebbe subito. Siamo favorevoli a sederci a un tavolo con il Governo, ma per parlare di innovazione e sviluppo, non di moratoria dei prezzi”.

Commodity alle stelle

Nel comunicato diffuso ieri sera, Centromarca e Ibc ritengono non praticabile la sottoscrizione del protocollo. Gli industriali rilevano, citando questa volta Nomisma, che per le commodity si registrano “tra il 2020 e il 2023 variazioni dei prezzi del +74% per lo zucchero, +26% per i cereali, +14% per la carne +14% e lattiero caseari. Inoltre, rispetto a gennaio 2021 il costo del vetro è cresciuto dell’88%, la carta del 65% e il pet del 37%.
La marginalità delle aziende si è deteriorata a causa del forte aumento del tasso di sconto. Il quadro complessivo non consente previsioni realistiche sulla dinamica dei conti economici e sulle linee delle politiche commerciali dei prossimi mesi”.

Poi le due associazioni del largo consumo aggiungono che “un’azione di controllo dei prezzi rischia di pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo (soprattutto delle Pmi) e la continuità degli investimenti. Nell’alimentare i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%. L’Osservatorio congiunturale Centromarca-Ref Ricerche evidenzia che lo scorso anno il 43,5% dei manager delle aziende alimentari e non food ha riscontrato profitti in diminuzione e il 6,2% ha prodotto in perdita”.

L’Antitrust non vuole

Infine il colpo da ko per le speranze del ministro Urso. “Verifiche legali hanno appurato - sostengono Centromarca e Ibc - che la normativa Antitrust non consente di promuovere presso le aziende associate gli impegni oggetto del protocollo. Un’intesa che “controlli” i prezzi (anche al ribasso) costituirebbe un potenziale cartello, sanzionabile da parte dell’Autorità. L’attuazione del contenuto del protocollo determinerebbe, inoltre, interferenze nelle relazioni di filiera e una distorsione della concorrenza tra le imprese, che competono tra loro sulla base di posizionamenti, margini e politiche di prezzo differenziate”.

E, alla fine, Centromarca rilancia la palla al Governo. Se vuole una riduzione dei prezzi, deve metter mano a “una riduzione sensibile dell’iva sui beni di consumo, ulteriori tagli al cuneo fiscale e azioni che portino la concorrenza nei settori in cui non è presente”.