Industria alimentare si spacca sul nuovo contratto di lavoro. Come riferisce il Corsera tre associazioni sulle 13 che compongono la Federazione, a sua volta associata a Confindustria, hanno scelto la trattativa in proprio. Si tratta di Unione italiana food (multisettoriale), Ancit (conserve ittiche) e Assobirra), cui fanno capo, attraverso le imprese, un 40% delle risorse umane del food.

Lo scopo è di accelerare le negoziazioni con i sindacati dei lavoratori che avrebbero già accettato un aumento salariale corrispondente all’1% delle retribuzioni.

Il 27 aprile Federalimentare ha delineato, in una nota, le premesse del nuovo Ccnl. La federazione, si legge “conferma la propria disponibilità a rinnovare il contratto nazionale di categoria. Ma l’emergenza – non ancora finita - che sta vivendo il Paese - richiede un supplemento di saggezza. Il coronavirus, purtroppo, ha completamente cambiato lo scenario, e anche l’industria alimentare sta subendo pesantissimi contraccolpi di cui è impossibile prevedere effetti e ricadute, non solo nell’immediato, ma anche per i prossimi anni”.

Le stime per il 2020 sono molto negative: l’export calerà del 15% con rischi di ulteriore ribasso, le vendite interne segneranno un –16/18% in valore e un –12/14% in volume. In più, è forte la preoccupazione per il blocco totale del canale horeca. Sui 250 miliardi di euro di consumi alimentari 2019, un terzo, pari a circa 83 miliardi, sono generati dal fuori casa. In particolare, ammontano a oltre 18 miliardi di euro i ricavi da ristorazione e bar legati specificamente al turismo nazionale ed estero.

“Moltissime aziende stanno facendo ricorso alla cassa integrazione – spiega Federalimentare -. Dopo il dissenso iniziale riconosciamo però che, negli ultimi contatti, i sindacati hanno dato prova di senso di responsabilità e condivisione di valori comuni. Un buon segno in vista di un accordo tanto necessario quanto delicato per il futuro delle nostre aziende e dei posti di lavoro che assicurano al Paese”.

A queste complessita si aggiunge il dissenso scoppiato fra Anicav (industria conserviera), anch’essa associata a Federalimentare, e una parte del mondo agricolo. È saltato infatti il tavolo di trattativa per la contrattazione del pomodoro da industria nel Bacino Centro Sud.

“La rappresentanza agricola – scrive l’Associazione - dopo innumerevoli inviti di parte industriale, è arrivata al tavolo con una proposta che prevede prezzi di riferimento superiori del 40% rispetto a quelli della campagna 2019. Si è parlato, infatti, di 130 euro/ton per il pomodoro tondo e 140 euro/ton per il pomodoro lungo contro i 95 e 105 euro/ton dell’anno passato. Questo mentre nel bacino del Nord - dove è stato contrattato un prezzo di 88€/ton – l’incremento rispetto al 2019 è stato di circa il 2% e gli altri Paesi nostri competitor a livello mondiale hanno definito prezzi mediamente in linea o con lievi aumenti rispetto alla campagna precedente”.

Secondo gli industriali si tratta di una richiesta irricevibile, in quanto le aziende del bacino centro meridionale hanno sempre pagato il pomodoro circa il 10% in più rispetto al Nord e, quindi, un aumento ulteriore di questo differenziale potrebbe, già nell’immediato, creare grosse difficoltà alle imprese minacciando seriamente di distruggere, nel medio-lungo periodo, la filiera del pomodoro da industria nel Centro Sud Italia.