Nasce un tavolo tra industria alimentare e Istituzioni per promuovere e sostenere l’export del food and drink italiano. Che, allo stesso tempo detta l’agenda della competitività nei prossimi anni: individuazione e presidio dei nuovi e più strategici mercati, lotta a contraffazione e italian sounding, superamento delle barriere tariffarie e non tariffarie per i nostri prodotti.

Una delegazione di Federalimentare, composta dal presidente Filippo Ferrua Magliani, dai vice-presidenti Annibale Pancrazio e Luigi Scordamaglia, dal direttore Daniele Rossi, e dai rappresentanti delle associazioni aderenti si è infatti incontrata ieri al Ministero degli Affari esteri con il segretario generale Michele Valensise e  il direttore generale per la promozione del Sistema Paese, Andrea Meloni, nonché con i rappresentanti dei ministeri di riferimento (Sviluppo economico, Salute, Politiche agricole alimentari e forestali) e dell’Agenzia ICE per avviare un percorso coordinato di “diplomazia economica” in favore del made in Italy alimentare.

Così Filippo Ferrua Magliani: “L’istituzione di un tavolo per l’internazionalizzazione mette nuovamente l’industria alimentare al centro del sistema Paese: il suo obiettivo è difendere e promuovere i nostri marchi e il Made in Italy alimentare nel mondo, in primis favorendo gli accordi per ridurre veri e propri ostacoli protezionistici come le barriere non tariffarie, spesso strumentalmente a carattere sanitario; ma anche attraverso lo sviluppo degli investimenti promozionali all’estero - per i quali sarebbe auspicabile la deducibilità -  per combattere contraffazione e italian sounding Un’iniziativa che, in un momento di persistente stagnazione dei consumi interni, ci fa guardare con rinnovato ottimismo alle potenzialità di sviluppo del secondo settore manifatturiero italiano che ha iniziato l’anno con un +8,6%.”

L’industria alimentare italiana, 6250 aziende con più di 9 addetti e un fatturato di 130 miliardi di euro, costituisce il 2° settore manifatturiero italiano. Con i consumi interni in recessione, l'export rappresenta la più importante valvola di sfogo e di redditività: nel 2012 ha raggiunto quasi 25 miliardi di euro, con un'incidenza sul fatturato totale del 19%. E’ la percentuale più alta di sempre, anche se ancora inferiore a quelle di Germania, Francia e Spagna, che oscillano tra il 22% e il 29%.  E nel primo quadrimestre del 2013 l’export alimentare è cresciuto già più dell’8%.

Ma bisogna rafforzare gli sbocchi internazionali ‘maturi’ e aumentare la spinta propulsiva verso i mercati emergenti. Significative le variazioni percentuali 2012/2011 registrate in Medio Oriente, con Emirati Arabi Uniti (+39,5%), Arabia Saudita (+30,5%) e Turchia (+13,9%), Estremo Oriente, con Thailandia (+50,6%), India (+22,8%), Corea del Sud (+22,5%), Giappone (+20,5%), Cina e Hong-Kong (+20,2%) e “importanti” anche gli spunti di Messico (+32,5%), Ucraina (+18,5%), Brasile (+7,3%) e Russia in piena ripresa (+5,8%). Ma dove le potenzialità di business sono elevate rimane significativo il “freno” di forti barriere protezionistiche, soprattutto di carattere non tariffario e di tipo sanitario.