Iva sì, Iva no, Iva forse? Il triste balletto continua da mesi, preoccupando un po’ tutti. Ma ora, a quanto sembra, il dado è tratto, a meno che la decisione di alzare di un punto l’aliquota del 21% non porti a una crisi di Governo, ventilata da una parte dei politici, sdoganando sul prossimo Esecutivo la difficile decisione. Se tutto resterà com’è, invece, la misura dovrebbe partire dal primo di ottobre o, più realisticamente, con il nuovo anno.

Si registrano le prime reazioni dell’industria e della distribuzione. “In un quadro così critico l’aumento dell’Iva allontanerebbe in modo drammatico qualsiasi prospettiva di ripresa”, rileva Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, “traducendosi in aumento dell’inflazione, riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e ulteriore accelerazione del calo della domanda interna. Senza peraltro determinare benefici in termini di gettito fiscale, perché gli effetti negativi sulla domanda si tradurrebbero in minori introiti per lo Stato. Com’è già successo nel 2011 con l’incremento di un punto dell’aliquota del 20%”.

“Opzioni alternative ci sono – spiega Bordoni - e le abbiamo più volte indicate. Bisogna agire con coraggio e decisione sulle liberalizzazioni, perché le spese obbligate delle famiglie (luce, gas, acqua, servizi finanziari, carburanti...) in questi anni hanno registrato una crescita incontrollata. Chiediamo al Governo Letta e alle forze politiche una forte convergenza in questa direzione. Servono inoltre interventi drastici di riduzione della spesa pubblica improduttiva, che determinerebbero effetti di correzione strutturale dei conti pubblici, duraturi e utili per il Paese”.

 

Dura la posizione di Confimprese. «Le nostre  aziende – dichiara il presidente, Mario Resca – non prevedono un ritocco immediato dei prezzi al consumo e quindi questo comporta accollarsi i costi derivanti dall’aumento dell’aliquota. Per fare esempi concreti, nelle calzature per un’azienda di grandi dimensioni con circa 600 punti vendita in Italia e un fatturato di oltre 200 milioni significa perdere 1 milione di euro a stagione, ossia 2 milioni l’anno. Nell’abbigliamento per un’azienda di pari dimensioni e fatturato, la perdita si fa più pesante e arriva fino all’1% sui margini. In ogni caso, per non gravare sul consumatore, le nostre imprese bloccheranno i prezzi fino alla fine del 2013, mentre per il 2014 i listini dei nuovi prodotti saranno leggermente ritoccati per contenere le perdite, con un evidente ulteriore danno per le famiglie».

Da tre anni – rincara Centromarca -  i consumi sono in regressione. A giugno 2013, rispetto allo stesse mese dell’anno precedente, i prodotti alimentari hanno segnato un calo del 2,9% e il non alimentare una flessione del 3,1. Su base annua il calo complessivo è del 3%, con una flessione dell’1,8 per l’alimentare e del 3,5 per il non food.