Il messaggio univoco che la platea di imprenditori e di manager della distribuzione moderna ha potuto cogliere, dopo tre ore nelle quali si sono succeduti presentazioni di sondaggi, interventi e dibattiti, è piuttosto deprimente ed è indice – sia pure con qualche distinguo - di una sostanziale sfiducia sulla possibilità di cambiare le cose.
Certo, non ha aiutato – ancora una volta – l’assenza dei rappresentanti del Governo. Doveva esserci il ministro Scaiola, trattenuto a Roma – si dice – per discutere con i vertici Fiat sugli urgenti finanziamenti necessari al settore auto in crisi.
Eppure – come ha sottolineato nel suo intervento il direttore generale di Indicod Ecr Bruno Aceto – il comparto del largo consumo non è proprio la cenerentola dell’economia italiana. La sola Indicod Ecr, impegnata a ridurre i costi di filiera e a ottimizzare lo scambio delle merci, rappresenta 34mila aziende del settore e 35mila punti vendita, per un totale di 1.140.000 occupati che producono il 5,3% del pil nazionale.
Ha detto bene quindi il presidente di Coop Italia Vincenzo Tassinari quando ha affermato che «la gdo è come un fuoriclasse tenuto in panchina mentre la propria squadra perde uno a zero». «Il problema – ha aggiunto – è che in Italia manca il senso di squadra, e questo è un problema culturale…»
Poco prima Renato Mannheimer, presidente dell’istituto di ricerche Ispo, presentando i risultati di un sondaggio sulla modernità (percepita soprattutto come tecnologia, ma a sorpresa anche con profondi connotati sociali, etici e di rispetto dell’ambiente) – era intervenuto proprio su questo tema. «Il nostro – aveva ammesso - è un paese individualisticamente moderno, percepito come potenzialmente capace di sviluppare modernità ma discontinuo e debole sul piano organizzativo, frenato com’è dalla burocrazia e dalla inconcludenza della classe politica».
Dello stesso avviso l’ad di Mediamarket Pierluigi Bernasconi. «Manca una visione strategica per modernizzare efficacemente il paese – ha lamentato -: senza questa e puntando su interventi di breve periodo, tutto diventa difficile». Secondo Valerio Di Natale, presidente e ad di Kraft, invece, a mancare è soprattutto «il coraggio e la capacità di fare sistema, puntando di più sul capitale umano». «È da 15 anni che si dicono sempre le stesse cose e non cambia nulla – ha stigmatizzato dal canto suo l’ad e direttore generale di Gruppo Sutter, Aldo Sutter. Forse più che di modernizzazione bisognerebbe parlare di cambiamento, sfruttando l’occasione della crisi per azzerare un po’ di cose e ripartire di nuovo».
Già, ma come ripartire? Quale ricetta adottare per superare una impasse più culturale che reale. Un contributo forse più significativo e concreto, sull’esprienza mutuata dalla Francia, ci si sarebbe aspettati da Jacques Attali, presidente di PlaNet France e coordinatore della commissione chiamata recentemente in Francia a modernizzare il settore del commercio. Attali si è mantenuto un po’ sul generale, individuando tre priorità per il cambiamento: una migliore conoscenza delle dinamiche economiche, maggiore mobilità (intesa come elevato livello di concorrenza, trasparenza, mobilità sociale) e una governance capace di fare funzionare le cose, di rendere efficiente la vita sociale del paese, di ridurre la burocrazia, di programmare il futuro per due o tre generazioni a venire.