L’industria alimentare italiana -  secondo comparto del Paese con 124 miliardi di fatturato e oltre 400 mila addetti per 6.500 imprese -  ha evidenziato, nel 2010, i primi incoraggianti segnali di ripresa. Lo dimostrano i dati resi noti da Federalimentare in occasione della conferenza stampa di presentazione del bilancio 2010 del settore.
La produzione 2010 ha recuperato il segno negativo dell’anno precedente, segnando un +1,8% su dati grezzi e un +1,6% a parità di giornate lavorative, dopo aver navigato a lungo sopra il +2%. E’ emerso, perciò, un positivo rimbalzo, dopo il -1,5% del 2009, anche se si è profilato, a dicembre 2010, un rallentamento di trend che si è confermato all’inizio del 2011.
Guardando ai dati grezzi di produzione di gennaio, emerge infatti che solo alcuni comparti hanno mantenuto il segno “più”. Tra questi: la “lavorazione e trasformazione della carne” (+3,9%), l’”ittico” (+12,7%), il molitorio (+3,5%), la “pasta” (+4,0%)  e le “bevande” (dal vino, alla birra, alle acque minerali), con un +2,1% aggregato. Mentre, altri comparti importanti hanno segnato arretramenti, come la “lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi” (-11,8%), l’”oleario” (-6,6%), il “lattiero-caseario” (-2,3%), i “prodotti da forno e farinacei” (-8,2%), il “cioccolatiero” (-5,4%). Stazionaria, infine, l’”alimentazione animale” (+0,2%).  
Al di là dei dati squisitamente congiunturali, la produzione alimentare del Paese ha mostrato, nel tempo, una dinamica largamente premiante. Sull’arco del decennio 2000-2010, essa ha messo a segno un +12,1%, con oltre 27 punti di differenza rispetto al -15,4% segnato in parallelo dall’industria nazionale nel suo complesso.  

Dopo avere navigato, negli ultimi mesi del 2010, su tassi prossimi al +10%, l’export dell’industria alimentare ha chiuso l’anno sulla quota di 21 miliardi di euro,  con una crescita del 10,5% sull’anno precedente. E’ un buon risultato, che recupera ampiamente il -4,2% del 2009. Ed è tanto più promettente se si considera che l’ultimo trimestre 2010 ha segnato un +11,9%, facendo meglio della media annuale.
Guardando ai comparti di maggiore peso, spicca il risultato di un segmento di grande spessore come il “lattiero-caseario”, con una quota di 1.925 milioni e un +23,6% sull’anno precedente.  Superiori alla performance media di settore: il comparto leader dell’export, l’”enologico”, con 4.277 milioni e un +12,2%; il “dolciario”, con 2.588 milioni e un +11,2%;  gli “oli e grassi”, con 1.559 milioni e un +16,3%; le “carni preparate”, con 1.110 milioni e un +11,5%; la “trasformazione della frutta”, con 915 milioni e un +14,4%;  le “acquaviti e liquori”, con una quota  di 584 milioni e un +16,9%. Vistoso, anche se su livelli assoluti ancora modesti, pari a 114 milioni,  il risultato della birra, con un +41,4%.

I mercati di maggiore peso hanno mostrato ampie capacità reattive. La Germania ha messo a segno una spinta del +6,7%, dopo il -3,4% del 2009; la Francia un +7,4%, dopo il -2,1% dell’anno precedente; gli Usa un +11,8%, dopo il -9,1% del 2009. Il quarto mercato, il Regno Unito, ha recuperato con un +6,4%, dopo il -6,5% del 2009.  Ma anche altri mercati hanno mostrato spunti promettenti: a cominciare dai Paesi Bassi, con un vistoso +30,5%, per proseguire con l’Austria, (+13,6%), col Canada, (+25,8%) e con la Russia    (+39,2%).
Inoltre, Paesi importanti come Cina (+55,9%), Brasile (+31,7%), Arabia Saudita (+31,6%) e Turchia (+44,4%) stanno superando lo stadio di “promesse”. Essi sono ancora largamente al di sotto delle loro potenzialità, ma cominciano a situarsi su quote di esportazione non più “simboliche”, in una  fascia che oscilla ormai fra i 100 e i 200 milioni di euro.
Come accaduto per la produzione, anche l’export alimentare ha mostrato un andamento premiante sul lungo periodo. Nel confronto 2000-2010, ha infatti messo a segno un +66,9%, con oltre 40 punti di vantaggio rispetto al +28,5% registrato in parallelo dall’export totale del Paese.

Malgrado i recuperi recenti di produzione ed export, il quadro alimentare 2010 ha mantenuto ombre e preoccupazioni. Le vendite alimentari 2010 censite dall’Istat  segnano un nuovo arretramento in valuta corrente del -0,3%, a fronte del +0,3% di quelle non alimentari. Mentre i consumi domestici rilevati da Ismea su un campione di 9 mila famiglie registrano, sui dodici mesi, rispettivamente, cali  del -1,3% in quantità e del -0,9% in valore.  
Gli ultimi dati Istat sulle vendite alimentari di gennaio 2011 confermano e appesantiscono il trend depresso delle vendite. Essi evidenziano, infatti, un -1,2% delle vendite in valori correnti, rispetto a gennaio 2010, sia per i prodotti alimentari che per i non alimentari.
E’ chiaro, perciò, che, con un quadro depresso dei consumi, l’incremento della produzione 2010 dell’industria alimentare si è legato  esclusivamente alla domanda estera.
La spesa low cost è cresciuta e l’incidenza dei discount, nell’universo dei canali distributivi nazionali, ha ormai raggiunto l’8%. È importante, inoltre, sottolineare, che le vendite alimentari  nel canale gdo segnano, a fine 2010,  un +0,4%, mentre quelle dei piccoli esercizi si fermano su un -1,4%.

Dal fronte internazionale giungono nuovi e forti spunti di preoccupazione: i confronti tendenziali delle quotazioni delle materie prime mostrano forti accelerazioni, comuni a tutti i grandi comparti. Esse sono indicative, in parte, dell’atteso consolidamento della ripresa dell’economia mondiale, ma indicano anche che la speculazione ha ricominciato a mordere. Col risultato che alcune commodity hanno già superato i picchi registrati durante la crisi del 2007-2008.
Queste dinamiche si stanno già riflettendo sui prezzi alimentari alla produzione, i quali,  non a caso, sono passati da variazioni tendenziali sui dodici mesi del –0,3% di metà 2010 al +5,0% di gennaio. Ed è chiaro altresì che queste tensioni alla produzione finiranno col rimbalzare sui prezzi alimentari al consumo, i quali stanno risalendo, anche se rimangono ancora largamente sotto il tasso d’inflazione. Non è casuale che l’inflazione  alimentare abbia raggiunto il +1%, nel confronto  tendenziale gennaio 2011/10, dopo avere oscillato su una media annua 2010 (alimentare lavorato + alimentare fresco) assai più bassa, attorno al +0,2%.

L’uscita dalle difficoltà del mercato interno  si dovrebbe saldare col ritorno del PIL nazionale ai livelli di picco pre-crisi. Ma esso è atteso,  secondo le proiezioni più aggiornate, non prima del 2014-15. E questo, mentre i paesi più avanzati sono in fase di rientro sull’arco 2010-2012 (gli USA, proprio il paese che ha innescato la crisi, hanno già chiuso il cerchio a metà 2010).  La “traversata” del mercato italiano perciò sarà lunga.
L’export, tuttavia, dovrebbe continuare nella sua spinta espansiva, anche se forse con tassi leggermente inferiori a quelli del 2010. Solo col suo potenziamento, si potranno preservare stabilità e spazi significativi di espansione del settore alimentare.