Se in Sicilia ci sono meno di 50 centri commerciali, più di una dozzina sono a Catania perché qui il cemento armato, armato in tutti i sensi, frutta varie volte, troppe volte. E così la concentrazione dei grandi esercizi commerciali lievita, a causa di un certo tipo di imprenditoria, non tutta ovviamente, che è più che disposta a venire a patti con la Mafia. Lo scandalo di questo capoluogo è stato più volte denunciato.

Il caso di Aligrup, consociata isolana di Despar, è lampante. Ad andarci sono soprattutto i lavoratori, che si ritrovano sul lastrico, in cassa integrazione. Ma c’è di peggio. A quanto risulta a DM, le offerte per rilevare una parte dei punti di vendita avanzate da vari operatori nazionali, che avrebbero dato una boccata di ossigeno, sono al momento bloccate (si veda la Notizia del giorno dell’11 aprile ) a causa del processo Scuto, che ha visto ieri la condanna del reuccio locale dei super a 12 anni di reclusione, come vedremo meglio poi.

E dire che il caso Aligrup è arrivato fino alle aule della politica già durante il Governo Monti. In novembre, durante la precedente legislatura, il parlamentare del PD, Giuseppe Berretta aveva presentato un’interpellanza al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, accompagnandola, come riportato da “Blog Sicilia” con queste parole: “Il Governo nazionale intervenga al più presto convocando le aziende che hanno manifestato interesse per l’affitto del ramo d’azienda di Aligrup, in modo da giungere ad una negoziazione che salvaguardi un’importante impresa del territorio e migliaia di posti di lavoro del gruppo, dell’indotto e dei fornitori”. E c’era pure, documenta il giornale locale, un atto ispettivo sottoscritto assieme ai deputati Democratici etnei Giovanni Burtone e Marilena Samperi. E questo è solo un esempio, perché anche Confcommercio si è movimenta sulla dolorosa vicenda.

Questi gli ultimi fatti. Nel secondo grado di giudizio la prima Corte d'appello di Catania ha condannato a 12 anni per associazione mafiosa Sebastiano Scuto. Il patrimonio dell'imprenditore, con Aligrup come asset principale, è stato confiscato. Il tutto come da richiesta del Procuratore Gaetano Siscaro, che, come riporta l’edizione palermitana de “La Repubblica”, avrebbe "finanziato in modo continuativo" la 'famiglia' Laudani "in cambio di una duratura protezione" e "riciclato in attività economica legale ingenti proventi delle attività illecite della cosca".
“Per la Procura generale, Scuto – si legge sempre sul quotidiano - che ha 72 anni, avrebbe utilizzato amicizie con il clan per espandere il proprio "impero" commerciale nella grande distribuzione. La Corte d'appello ha ribaltato, in parte, la sentenza di primo grado, emessa il 16 aprile del 2010 dalla seconda sezione penale del Tribunale di Catania, che lo aveva assolto dall'accusa di avere gestito a Palermo centri commerciali in comune con i boss  Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo e dissequestrato tutti i beni dell'imprenditore, confiscandone "una quota ideale del 15 per cento". I giudici di secondo grado lo hanno infatti riconosciuto colpevole di collegamenti con la mafia palermitana e disposto la confisca di tutti beni, nella misura in cui era stata decisa dal Gip in sede d'inchiesta”.
Ma secondo la Difesa le cose starebbero altrimenti e lo Scuto avrebbe pagato e fatto favori solo per non entrare nel mirino di Cosa Nostra.
Difficile dire come andranno a finire le cose, visto che ci sono altri gradi di giudizio possibili. Ma certamente chi in Aligrup ha lavorato onestamente e pazientemente paga il prezzo più alto.

 

Fonte: "La Repubblica" edizione di Palermo