di Luca Salomone

Il rallentamento dell’inflazione e il taglio del cuneo fiscale, pare, sostengono i consumi: così, nel 2024, secondo le previsioni Confesercenti, la spesa media annua, delle famiglie – per tutte le voci, commercio, servizi, utenze domestiche, affitti, energia – dovrebbe attestarsi a 34.527 euro, con un aumento di 1.302 euro sul 2023.

Se 288 euro vi sembran molti

Un salto però ancora "amplificato" dalla crescita dei prezzi, che continua, anche se più lentamente: in termini reali, infatti, l’esborso medio 2024 dei nuclei familiari si dovrebbe collocare più in basso, a 29.126 euro, dunque con un gap, in confronto al valore nominale, poco oltre i 5.400 euro.

E' un risultato, comunque, in lieve rialzo, di 288 euro reali (+1%) sullo scorso anno, ma ancora distante dai numeri del periodo ante pandemico e con un taglio di 1.604 euro (-5,2%) in confronto al 2019.

In sintesi l’Italia, per varie ragioni, molte delle quali subentrate in tempi piuttosto recenti, fatica ancora a risollevarsi, come emerge dal dossier redatto dalla stessa Confesercenti e da Cer (Centro Europa ricerche) dal titolo “Commercio e consumi. Fra crescita nominale e decrescita reale”, presentato a Roma nei giorni scorsi.

A frenare il rilancio della domanda è, come detto, l’inflazione che, ancora a febbraio 2024, pure in netta discesa, segnava un aumento, su base annua, dello 0,8 per cento (indice Nic) e un dato, per il grocery, il cosiddetto carrello della spesa, del +3,4 per cento tendenziale, ovvero a paragone del +5,1% di febbraio 2023. Uno scenario che sicuramente porta elementi positivi, ma con maggiore lentezza di quanto sperato.

In particolare, nel 2022 e 2023, i forti rincari hanno ridotto il potere d’acquisto rispetto a cinque anni fa e i 100 euro dello scorso anno equivalgono agli 86,4 euro del 2019.

E ora? Nel 2024 il consolidamento della spesa ci sarà, ma, appunto, con un andamento lento, che dovrebbe interessare moltissime regioni.

Forbici affilate per l'alimentare

La crescita stimata sarà più forte nel Nord, in particolare nel Trentino-Alto Adige-Sud Tirolo (+1,6%), in Emilia-Romagna (+1,4%), Lombardia e Valle d’Aosta (+1,2%), Veneto (+1,1%) e Friuli-Venezia Giulia, area che però dovrebbe attestarsi sul livello medio nazionale (+1%). Stabili, per non dire piatte, le indicazioni di Umbria e Calabria. Nelle restanti zone amministrative, invece, la rimonta non ci sarà affatto, o resterà sotto la stima valida per l'intero Paese.

L’impatto del rapido aumento dei prezzi emerge con chiarezza dall’analisi dell’andamento, in termini nominali e reali, delle singole voci di spesa fra il 2019 e il 2023 (ultimo anno disponibile per questa profondità di dettaglio).

La forbice più elevata si registra sui consumi alimentari. Nominalmente il budget delle famiglie sembra aumentato del 12,9% nell'intervallo fra il 2019 e il 2023 (+720 euro l’anno), ma in valori reali c’è una contrazione dell’8% (-449 euro), con uno stacco, in quattro anni, di 1.169 euro in meno.

La voce dove è più evidente la natura, esclusivamente monetaria, dei rialzi è, in ogni caso, l’abitazione, colpita in modo diretto e frontale dagli incrementi delle tariffe energetiche.

Nominalmente i dati relativi alla casa registrano un aumento del 13% (+1.409 euro sul 2019), ma il valore reale si è contatto di 358 euro (-3,3%). Per la sola componente “Elettricità, gas e altri combustibili”, lo scostamento è fra un aumento nominale di spesa del 70,2% (+1.272 euro) e una sostanziale gelata del consumo reale (-0,7%).

Nella ristorazione crollano le nascite

La frenata della ripresa ha amplificato anche i problemi della distribuzione commerciale, in particolare quella indipendente e di vicinato. «Fra concorrenza dei nuovi canali di vendita e aumenti dei costi di attività, fare impresa è diventato, nel mondo del retail, sempre meno attraente – sostiene Consercenti –. Lo testimonia il crollo di iscrizioni: nel 2023 si sono accreditate, nei registri camerali, 23.574 nuove imprese di tipo distributivo, con un 20% in meno rispetto al 2019».

Nel mondo ristorativo la flessione è del 21,7%, con un vero e proprio crollo delle nascite di imprese, che – non sostituite – continuano a ridursi.

Ancora: fra il 2019 e il 2023 le attività di commercio al dettaglio diminuiscono del 7,4%, per un totale di 56 mila attività perse. La ristorazione invece lascia sul terreno un po’ meno (2%) che corrisponde a un assottigliamento, peraltro molto grave, di 6 mila e 700 aziende.

Le imprese che operano su piccole superfici, sottoposte alla pressione di Gdo e commercio elettronico, rischiano di diventare sempre più marginali: in questi 5 anni esse hanno perso, una quota di mercato di 1 punto nel largo consumo e vicino al 4% nel non alimentare.

Del resto, nel non food, il peso delle Pmi era già da tempo molto basso, ma nel 2023 è diventato addirittura marginale (circa 10% di quota), per non dire ai limiti della sopravvivenza. L’incidenza settoriale dell’e-commerce, invece, è quasi raddoppiata nell’ultimo lustro, e il fatturato è salito da 17 a 32,7 miliardi di euro.

Insomma: anche se c’è una lieve ripresa l’economia è sempre meno per piccoli e il rischio della desertificazione commerciale è sempre più incombente.

Scarica il dossier Confesercenti-Cer