di Luca Salomone

Nel Paese delle indicazioni geografiche, l’Italia, che ne conta, secondo Ismea-Qualivita, 853, Stg comprese, le Dop e le Igp sono davvero ben note?

A porsi la domanda è Luiss business school di Roma, che ha svolto, in collaborazione con Amazon, una ricerca sul livello di approfondimento delle nostre nozioni in materia di IG.

Molto note, ma poco capite

Dall’indagine, svolta su 1.600 nostri concittadini, risulta che le denominazioni Dop e Igp sono note alla quasi totalità dei nostri consumatori (il 96% degli intervistati afferma di conoscere almeno una delle due attribuzioni) e la netta maggioranza (il 90%) ne comprende il significato “tecnico”. Tuttavia, poco più della metà dei soggetti (il 55,5%) ha riconosciuto l’origine in uno specifico territorio come caratteristica distintiva e, per una parte consistente (il 27%), l’elemento differenziante è rappresentato, piuttosto, dalla qualità superiore.

L'origine, pur essendo un concetto ancora alquanto nebuloso, è comunque considerata molto importante dal 58%, mentre solo l'8% non le attribuisce alcun rilievo.

È poi molto poco diffusa la percezione di altri possibili aspetti caratterizzanti di questi beni, come un migliore contenuto nutrizionale, un minore impatto ambientale del processo produttivo, ma anche un costo più elevato.

Quanto siamo disposti a spendere?

Se guardiamo al carrello della spesa, scopriamo che appena il 28% dichiara di prestare una notevole, o decisiva attenzione alle denominazioni Dop/Igp in fase di acquisto, percentuale che però aumenta al 32% durante il consumo.

Sebbene solo il 17% consideri scarsamente, o per nulla rilevanti le denominazioni di origine, la maggior parte di coloro che si definiscono poco sensibili acquista poi alimenti di questo tipo.

La stragrande maggioranza (oltre il 76%) dichiara di aver comprato almeno un prodotto Dop/Igp nell'arco di un mese, con una percentuale significativa che ha effettuato numerosi acquisti: il 12% degli intervistati ha detto di avere messo nel carrello oltre dieci prodotti tipici, mentre il 28% ne ha comprati fra i quattro e i dieci.

E ancora: per la maggioranza dei consumatori le denominazioni Dop/Igp rappresentano un riconoscimento significativo di autenticità (81%) e di qualità superiore (69%). Il 62%, poi, ha sottolineato la connessione tra la qualità di questi prodotti e la precisa origine geografica.

Eppure, poco più di un quarto dei soggetti, ritiene che un prodotto Dop/Igp abbia in qualche modo diritto ad aspirare a un valore, o prezzo superiore del 15% a quello degli altri generi alimentari (per il 7,4% anche più del 20 per cento).

E ancora. Sebbene il 35% degli intervistati riconosca a questi beni un posizionamento premium (fra il 6 e il 10% in più rispetto agli altri generi alimentari), l’effettiva disponibilità a spendere è decisamente inferiore: solo l’11% del campione è pronto a pagare un 15% in più, mentre circa il 30% dichiara di non volere accettare una differenza verso l’alto eccedente i 5 punti.

Contraffazione in agguato

C’è poi un problema di affidabilità. Più di due terzi dei soggetti (il 67,5%) reputa che i prodotti Dop/Igp siano più esposti al problema della contraffazione, rispetto agli altri generi alimentari ed è consapevole della necessità di svolgere azioni di tutela dei marchi e delle imprese produttrici.

Per contrastare imitazioni e inganni, gli intervistati considerano fondamentale aumentare i controlli e le sanzioni (85%), migliorare la consapevolezza del pubblico(84,5%) e rafforzare la collaborazione tra produttori e distributori (81,5%).

Fra le organizzazioni deputate alla lotta alla contraffazione, i soggetti indicano i produttori, i consorzi di tutela, le forze dell'ordine, la Gdo e le associazioni dei consumatori.

In sintesi, un quadro in chiaroscuro e, sovente, contradditorio, che fa emergere il bisogno di svolgere azioni culturali profonde. “Affinché il carattere distintivo delle denominazioni risulti più chiaro e riconoscibile, anche all’estero – ammonisce la ricerca - è necessario lavorare, stimolando la diffusione di una maggiore consapevolezza del valore e delle specificità e insistere nella difesa dalla contraffazione. La collaborazione tra il settore pubblico e quello privato rappresenta senza dubbio il punto di partenza per il perseguimento di questi obiettivi”.

Gianluca Di Ascenzo, presidente di Codacons, precisa che «il “Made in Italy” è sinonimo di qualità, sicurezza e affidabilità. Il nostro è il Paese che ha il maggior numero di prodotti agroalimentari riconosciuti dall'Unione europea a denominazione di origine, o indicazione geografica protetta. Questo primato va comunicato e, contemporaneamente, difeso da tutti quanti noi. Secondo alcune stime, infatti, il mercato del falso nell'agroalimentare vale addirittura 120 miliardi di euro».

Nota metodologica: il rapporto restituisce e analizza i risultati dell’indagine condotta su 1.600 consumatori, stratificato per genere, età e area geografica di residenza. A questo campione è stato erogato un questionario orientato a verificare tre grandi tematiche: 1) il grado di conoscenza che i consumatori hanno dei prodotti denominati Dop o Igp; 2) il valore attribuito a tali denominazioni e quindi la loro rilevanza nelle decisioni di acquisto e di consumo; 3) la percezione del rischio di contraffazione per i prodotti Dop e Igp e le misure per contenerlo.

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