Il problema è emerso in tutta la sua gravità nelle ultime settimane, a seguito dell’emergenza rifiuti di Napoli e della Campania: gli imballaggi che accompagnano i prodotti alimentari e non alimentari sugli scaffali dei supermercati non solo sono in larga parte responsabili delle crescenti migliaia di tonnellate di immondizia che ogni giorno si riversano nelle pattumiere domestiche, e da qui (dove presenti e funzionanti) nei termovalorizzatori. Ma sono in molti casi superflui, se non del tutto inutili.

Iniziative degne di plauso come quelle prese da alcune catene distributive italiane (tra queste Crai, Auchan, Carrefour, Coop), che hanno attivato delle aree dedicate alla vendita di prodotti sfusi all’interno di numerosi negozi, stanno a dimostrarlo e ci fanno capire che qualcosa, per migliorare la situazione, si può fare.

Il problema, peraltro, non è né solo italiano né nuovo. Un po’ ovunque, nel mondo, la proliferazione del packaging sta creando un impatto fortemente negativo sull’ambiente in termini di raccolta e smaltimento. Qualcosa inizia a muoversi nella direzione di una maggiore sensibilità al problema da parte di molti consumatori, amministrazioni pubbliche e aziende (produttrici e distributrici) caratterizzate da una maggiore responsabilità sociale e ambientale. Ma la strada è ancora lunga e in salita.

A dimostrarlo sono in parte anche i risultati della Nielsen Global Food Packaging Survey, la più recente ricerca di Nielsen sul tema del confezionamento alimentare. L’indagine rivela infatti che la metà dei consumatori mondiali più attenti alle problematiche ambientali sarebbe disposto a rinunciare a una parte del packaging che accompagna abitualmente i prodotti sugli scaffali, ma non a quello deputato a funzioni di tipo “igienico” e di protezione dei cibi.

Stop agli imballaggi, dunque, se non sono strettamente indispensabili. Come quelli studiati dai produttori per migliorare lo stoccaggio del prodotto a casa o per clusterizzare i prodotti (si dichiara disponibile a riunciarvi il 49% del campione); o quelli che favoriscono il processo di cottura o sigillano doppiamente il prodotto (48%); o ancora quelli che favoriscono il trasporto (47%). Ma non si tocchino le confezioni destinate a preservare la durata e la qualità degli alimenti.

La percentuale di coloro che, pur contraddistinti da un “animo” ecologico, non rinuncerebbero per nessun motivo al packaging con certe finalità, infatti, è altrettanto significativa: il 27% nel caso di pack studiato per rendere pulito e intatto il prodotto, il 30% per confezioni create per tenere i cibi in buone condizioni, il 33% per imballaggi con finalità informative sulle modalità di utilizzo e la preparazione degli alimenti, e il 34% per confezioni che rendono il prodotto fresco più a lungo.